La causa dei nostri problemi è l’Unione europea?
15 aprile 2014 di Mauro Varotto
Pare che la colpa dei principali mali, sociali ed economici, dell’Italia sia dell’Unione europea.
Perché, da 20 anni, in Italia l’economia cresce pochissimo (dati Eurostat: 0,5% di crescita media annua dal 1995 al 2013, rispetto all’1,4% dell’Area dell’Euro e all’1,6% dell’UE-27), la disoccupazione aumenta, il lavoro è sempre meno produttivo, le imprese sono sempre meno competitive? Colpa dell’Unione europea e dell’euro.
Perché l’Italia, a differenza degli altri Paesi dell’Unione, non è ancora uscita dalla crisi? Colpa delle severe regole di bilancio imposte dall’Unione europea.
Perché non riusciamo a gestire qualche migliaio di immigrati? Colpa dell’Unione europea che non ci aiuta.
Si potrebbe continuare a lungo la lista delle “lamentazioni” italiane, incoraggiate anche da un certo giornalismo del tutto privo di adeguate conoscenze di base e di autonoma capacità critica.
Tuttavia, i conti non tornano.
Infatti, tra i 28 Stati dell’Unione, siamo il Paese che applica meno di tutti le regole europee e, quando le applichiamo, il più delle volte lo facciamo in modo blando o sbagliato: infatti, siamo in ultima posizione per gli adempimenti del diritto dell’Unione europea e in prima posizione per il numero di procedure di infrazione per violazione del diritto dell’Unione europea (114 procedure di infrazione in corso, il che equivale a quasi tutti gli atti UE che non sono di diretta applicazione ma devono essere recepiti nell’ordinamento nazionale).
Siamo l’unico Paese nell’Unione europea che non ha realizzato neppure “1” (diconsi, in lettere, una) “vera” riforma tra quelle concordate a livello europeo con l’Unione e gli altri Stati, prima, nella strategia di Lisbona del 2000, e, ora, nella strategia “Europa 2020”, adottata nel 2010: abbiamo passato gli anni dell’abbondanza, tra riforme annunciate, riforme finte, riforme subito riformate, riforme approvate ma mai applicate …
Siamo tra i Paesi che, dal 1988 a oggi, ricevono più fondi dall’Unione europea, e, nel contempo, quello che li usa meno e peggio: anche questa volta, sui circa 30 miliardi che avevamo a disposizione per gli investimenti strutturali nel periodo 2007-2013, secondo la Corte dei Conti restituiremo almeno 6 miliardi (il 20% di fondi sprecati!). Per non parlare delle truffe e delle malversazioni a carico del bilancio dell’Unione europea, di cui l’Italia detiene il primato in Europa.
Tutti i Paesi dell’Europa centrale e orientale (ricordate la pietosa situazione degli ex-Paesi comunisti, dopo la caduta del muro di Berlino?) sono entrati nell’Unione europea e sono usciti dalla miseria nel giro di 10 anni; invece, il nostro Mezzogiorno, dopo decenni e decenni di interventi straordinari e di politiche di coesione, continua a rimanere sottosviluppato e, anzi, a peggiorare: mentre tutti gli altri Paesi, anche grazie alle politiche europee, trasformavano in opportunità di sviluppo le aree geografiche interne più deboli, noi elaboravamo chiacchiere, accademiche e politiche, su concetti giuridicamente strampalati, quali “federalismo” e “costi standard”, senza impegnarci in alcuna vera strategia per il Mezzogiorno, abbandonandolo a se stesso e alle élite politiche locali, che sono la prima causa del suo sottosviluppo.
Tutta colpa dell’Unione europea, dei vincoli europei e dell’euro?
Ho scoperto che in Italia, l’abitudine di addossare all’Unione europea la colpa dei nostri problemi ha radici storiche ben precise: è da più di trent’anni che l’Unione europea funziona come alibi per coprire le carenze della nostra classe politica nazionale (sia di maggioranza che di opposizione), sostenuta, in questo esercizio di scaricabarile, da folte schiere di economisti compiacenti.
Qualcuno forse ricorda che, prima dell’euro, nell’Unione europea, esisteva lo SME, il Sistema Monetario Europeo.
Fu un progetto franco-tedesco, studiato nel 1978 per rendere più stabili le monete europee, cui aderì anche l’Italia, sin dall’inizio, nonostante le perplessità della Banca d’Italia, guidata da Baffi, e l’opposizione del Partito comunista italiano, che all’epoca (1978!) era ancora contrario all’Europa unita (per inciso: oggi abbiamo il fenomeno del populismo antieuropeista; trent’anni fa, c’era il fenomeno dell’eurocomunismo, che non era di certo un movimento a favore dell’integrazione europea).
Sembra che proprio da quel passaggio storico, tragga origine il vizio italiano di cui stiamo parlando: la “lamentazione” contro l’Europa.
Lascio la parola a un autorevole storico, il prof. Antonio Varsori, uno dei massimi esperti della storia diplomatica e che oggi insegna nell’Università degli Studi di Padova, e che da molti anni studia, tra le altre cose, il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione europea: il libro, da cui prendo a prestito la citazione, è una lettura molto istruttiva e approfondita sull’europeismo, spesso di facciata, della nostra classe politica, “dalle origini ai giorni nostri”.
Scrive il prof. Varsori, alla fine di un capitolo intitolato: “L’Italia e l’adesione allo SME: «vincolo esterno» europeo o scelta occidentale?”:
“Sul piano economico, inoltre, la partecipazione allo SME spingeva l’Italia ad avviare una svolta nella propria politica economica, impegnandola in una politica di austerità, di difesa della lira e di lotta all’inflazione, come auspicato dai partner europei, soprattutto da Bonn.
A causa però della debolezza del sistema politico italiano, questa scelta doveva apparire come un sacrificio necessario, quasi imposto dai Partner europei.
In altri termini, si sarebbe elaborata nella rappresentazione della scelta europea dell’Italia la teoria del cosiddetto «vincolo esterno », sorta di escamotage grazie al quale una leadership politica, spesso insicura e debole, avrebbe potuto convincere l’opinione pubblica ad accettare scelte economiche e sociali in ampia misura impopolari, soprattutto presso le allora potenti forze sindacali”.
Dunque, nulla di nuovo sotto il sole: in Italia, la storia sembra ripetersi, sempre uguale a se stessa. E’ così che si formano gli stereotipi.
Non riusciamo a diventare “adulti”, assumendoci le nostre responsabilità.
E’ l’Europa che deve cambiare, non l’Italia.
ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:
La citazione è tratta dalle pagine 329-330 del libro di Antonio Varsori, La Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Rubbettino Editore, 2010
Sulle attuali “114” procedure di infrazione per la violazione del diritto dell’Unione europea da parte dell’Italia, si può consultare il sito internet del Dipartimento Politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per un confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea, basta consultare il sito web del Segretariato generale della Commissione europea.
Sul livello di spesa dei fondi europei in Italia e sulle frodi al bilancio dell’Unione europea, si veda l’interessante Relazione annuale 2013 della Corte dei Conti al Parlamento italiano, sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari.
Infine, sulle mancate riforme in Italia, rinvio al mio precedente articolo sulla strategia europea per la crescita “Europa 2020” e i risultati raggiunti dall’Italia dopo i primi quattro anni.