Il rapporto 2014 sulla competitività dell’industria italiana

16 settembre 2014 di Mauro Varotto

Assieme al report sulla competitività dell’industria dell’Unione europea 2014, presentato nel precedente articolo, la Commissione europea ha anche elaborato una specifica relazione sulla competitività delle imprese manifatturiere dei singoli Stati membri.

I punti di debolezza dell’industria italiana …

Innanzitutto, la doppia recessione che ha interessato l’Europa ha lasciato il segno sull’industria italiana: nel solo settore manifatturiero, dal 2007, il numero di aziende si è ridotto di circa il 19%, la produzione industriale è calata di circa il 25% e il tasso di utilizzo degli impianti ha visto una riduzione pari ad otto punti percentuali.

Si tratta di un calo generalizzato che ha colpito anche settori – quali quello automobilistico, calzaturiero e degli elettrodomestici – che per lungo tempo hanno rappresentato la struttura portante dell’industria italiana.

Tuttavia, malgrado la notevole riduzione dei volumi di produzione, la produttività è rimasta sostanzialmente invariata, il che ha contribuito ad allargare ulteriormente il divario rispetto ai concorrenti più importanti. A causa dei modesti livelli di produttività, nel 2013 i costi unitari del lavoro sono aumentati del 3,9%, nonostante l’aumento del costo orario del lavoro sia rallentato fino all’1,7%.

Secondo la Commissione, il rallentamento della crescita della produttività dell’industria italiana deriva non tanto dalla mancanza di investimenti, ma, per la maggior parte, dall’inefficienza nell’allocazione delle risorse. Infatti, il tasso di investimento dell’Italia è in linea con quello di altri paesi della zona euro, ma il livello di efficienza del capitale investito è inferiore e in diminuzione.

La Commissione cita un recente studio italiano (P. Manasse e T. Manfredi, Flessibilità, mito infranto del lavoro in Italia, e-book, 2014, disponibile on line), che dimostra come una delle cause fondamentali della modesta crescita della produttività sia da ricercare nel fatto che le riforme del mercato del lavoro hanno avuto come obiettivo principale la flessibilità e hanno trascurato la possibilità di affrontare le rigidità del meccanismo di determinazione dei salari. Tutto ciò ha prodotto effetti perversi: dal 2000, i salari sono aumentati maggiormente nei settori in cui la produttività del lavoro è cresciuta in misura minore e, nel breve periodo, l’occupazione ha avuto tendenza a spostarsi nei settori in cui la produttività del lavoro cresce a ritmi più lenti.

… e i punti di forza

Tuttavia, il settore manifatturiero italiano rappresenta ancora oggi una percentuale di valore aggiunto lordo sul PIL pari al 15,5%, superiore anche alla media dell’Unione europea, che è del 15,1%.

Il settore, inoltre, è una fonte essenziale di innovazione e di competitività: rappresenta il 70% della spesa privata per ricerca e sviluppo e quasi l’80% delle esportazioni: dal 2011 in avanti, osserva la Commissione, l’andamento delle esportazioni ha rappresentato l’unico elemento capace di contribuire positivamente alla crescita del Paese.

Il settore manifatturiero italiano è anche un fattore d’impulso per il settore dei servizi: il 40% del valore totale delle esportazioni industriali incorpora valore aggiunto prodotto dal settore dei servizi.

La Commissione segnala anche che l’industria italiana ha fatto registrare progressi significativi in tutti e quattro gli indicatori che misurano la “sostenibilità” dell’industria, evidenziando l’attenzione dell’impresa italiana verso l’ambiente.

Nel periodo 2007-2012, le stime indicano che, su base annua: i) la produzione di rifiuti è calata di quasi il 2%; ii) i rifiuti non destinati alla trattazione sono stati ridotti del 2,7% e iii) le emissioni di CO2 sono diminuite del 2,4%. Infine, il consumo di energia ha fatto registrare i migliori risultati, grazie ad una riduzione annua stimata del 6,3%.

Nel complesso, tra il 2007 e il 2012, l’industria manifatturiera italiana ha ridotto il proprio impatto sull’ambiente del 3,5% annuo.

Che cosa suggerisce la Commissione europea all’Italia?

Alla luce dell’analisi qui sintetizzata, la Commissione europea invita il Governo italiano a rafforzare il processo, peraltro già in corso, di consolidamento delle imprese e dei settori capaci di fabbricare con metodi di produzione sostenibili e di affrontare la concorrenza internazionale.

In particolare, come ho avuto modo di evidenziare in un precedente articolo con riferimento alla cosiddetta “Etna Valley”, nei settori dei materiali avanzati, della nanotecnologia, della fotonica, dell’elettronica, della robotica e dei droni, esistono nicchie di eccellenza scientifica che hanno la potenzialità per sostenere la modernizzazione dei settori industriali più tradizionali e per agevolare la valorizzazione della base industriale del Paese.

Inoltre, le aziende italiane hanno le potenzialità per acquisire una mentalità globale, e questa è un’opportunità che va sfruttata, perché, come ha dimostrato uno studio italiano citato dalla stessa Commissione (A. Belloni, Esportare l’Italia, Guerini e Associati, 2012), le strategie di esportazione adottate dalle aziende rimangono tuttavia deboli: una analisi più dettagliata delle caratteristiche delle aziende esportatrici rivela che solo un numero ridotto di esse include nel proprio modello aziendale strategie sistematiche in materia di esportazione; la maggior parte delle aziende esportatrici italiane si rivolge ai mercati esteri in maniera occasionale, soltanto per compensare la debole domanda interna.

Infine, la creazione di un contesto imprenditoriale competitivo è un requisito fondamentale per la crescita. Nonostante le iniziative dei diversi Governi che si sono avvicendati alla guida del Paese, l’ambiente imprenditoriale (in particolare, i vincoli normativi e amministrativi alle attività di impresa, i tempi della giustizia civile, la corruzione), e la pubblica amministrazione continuano a ostacolare la competitività dell’Italia.

Si pensi solo che, nonostante sia in vigore da oltre un anno una apposita direttiva dell’Unione europea, che anche l’Italia ha recepito nel proprio ordinamento, la pubblica amministrazione italiana impiega ancora oggi una media di 180 giorni per pagare le proprie fatture, rispetto ai 30 giorni prescritti dalla normativa in vigore.

La seguente tabella riporta i principali indicatori presi in considerazione dal rapporto della Commissione europea per analizzare la situazione dell’industria manifatturiera italiana.

 

Reindustrialising Europe. Member States' competitiveness Report 2014. Italy

Reindustrialising Europe. Member States’ competitiveness Report 2014. Italy

 

 

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Reindustrialising Europe. Member States’ Competitiveness Report 2014.

Nella pagina web si trovano sia il rapporto completo per ciascun Paese dell’Unione, sia la traduzione in italiano del capitolo dedicato alla competitività dell’industria manifatturiera italiana.

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