Ferme restando le regole di rotazione semestrale, occorrerà attendere il 2028 perché all’Italia si presenti nuovamente l’opportunità di assumere la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Si tratta dell’istituzione che, insieme al Parlamento europeo, esercita la funzione legislativa e di bilancio dell’Unione e che svolge un ruolo centrale nel coordinamento delle politiche economiche nazionali.

Con la conclusione del semestre italiano e il passaggio di consegne alla Lituania, è possibile trarre un primo bilancio dell’esperienza appena conclusa, tenendo conto del contesto particolarmente complesso in cui essa si è svolta.

Un semestre fortemente condizionato dal contesto

Per valutare correttamente i risultati della Presidenza italiana è necessario considerare almeno tre fattori che ne hanno inciso profondamente sull’azione.

In primo luogo, il semestre italiano si è svolto in una fase di transizione istituzionale dell’Unione europea. Le elezioni del Parlamento europeo, il rinnovo della Commissione, la nomina dei nuovi vertici istituzionali e la pausa estiva hanno reso questo periodo una sorta di “semestre bianco”, con margini di iniziativa legislativa inevitabilmente ridotti.

In secondo luogo, il semestre è coinciso con il perdurare della crisi economica europea, che continuava a manifestarsi con maggiore intensità rispetto ad altre aree del pianeta, a partire dagli Stati Uniti, già avviati su un sentiero di ripresa.

Infine, sullo sfondo si è aggravata la situazione internazionale, in particolare con la crisi ucraina, esplosa nel marzo 2014 e sfociata nella tregua di Minsk dell’inizio di settembre, che ha rappresentato il più grave conflitto politico e militare in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Primo risultato: gestione ordinata della transizione istituzionale

In questo contesto, il primo risultato della Presidenza italiana è stato quello di assicurare una gestione ordinata del rinnovo dei vertici istituzionali dell’Unione, evitando ulteriori fratture in un momento già segnato da forti divisioni politiche tra gli Stati membri.

Già in occasione del Consiglio europeo del 26-27 giugno 2014, di fronte all’opposizione di Regno Unito e Ungheria alla nomina di Jean-Claude Juncker alla Presidenza della Commissione europea, i Capi di Stato e di Governo hanno dovuto prendere atto di una realtà nuova: l’esistenza, all’interno dell’Unione, di differenti concezioni del processo di integrazione.

Come si legge nelle conclusioni di quel Consiglio europeo, il concetto di “unione sempre più stretta” lascia spazio a percorsi di integrazione differenziati, consentendo a chi intende approfondire l’integrazione di procedere, nel rispetto della volontà di chi non intende andare oltre.

Guidare l’Unione attraverso questo passaggio, senza blocchi istituzionali né ritardi nel rinnovo degli organi, costituisce un primo, non secondario, risultato della Presidenza italiana.

Secondo risultato: cambio di priorità nella governance economica europea

Un secondo risultato rilevante riguarda il riequilibrio delle priorità politiche dell’Unione europea in campo economico.

Solo un anno prima, il semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche per il 2014 si apriva ponendo al centro il risanamento di bilancio, mentre crescita, competitività e occupazione figuravano in posizione secondaria.

Con il semestre europeo per il 2015, inaugurato dall’Analisi annuale della crescita presentata dalla nuova Commissione Juncker nel novembre 2014, l’ordine delle priorità viene rovesciato:
– al primo posto il rilancio degli investimenti;
– al secondo le riforme strutturali;
– infine, politiche di bilancio responsabili e favorevoli alla crescita, nel rispetto del Patto di stabilità e crescita.

Il Consiglio europeo del 18 dicembre 2014 fornisce la necessaria legittimazione politica a questo cambio di impostazione, riconoscendo che investimenti, riforme e risanamento di bilancio devono essere perseguiti in modo equilibrato e coerente.

In questo quadro si colloca anche il via libera al Piano di investimenti per l’Europa, presentato dalla Commissione a fine novembre 2014, con l’istituzione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), destinato a mobilitare 315 miliardi di euro nel periodo 2015-2017.

Terzo risultato: gestione della crisi ucraina

Sul piano delle relazioni esterne, la Presidenza italiana si è confrontata con una crisi di portata storica. La nomina di un’Alto rappresentante italiano per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha posto il nostro Paese al centro della gestione della crisi ucraina.

In un contesto segnato da nazionalismi riemergenti, rivendicazioni territoriali, tensioni etniche e ricatti energetici, il ruolo dell’Italia è stato quello di favorire una linea europea equilibrata, evitando un’escalation irreversibile e contribuendo alla costruzione delle condizioni per una tregua, entrata in vigore il 5 settembre 2014.

Pur nella consapevolezza della fragilità di tale accordo, l’azione svolta ha consentito all’Unione europea di mantenere una posizione unitaria e credibile.

Conclusioni: la credibilità dell’Italia in Europa

All’inizio del semestre italiano, il principale problema del nostro Paese in Europa era la credibilità.

Per troppo tempo l’Italia si era mostrata inaffidabile agli occhi dei partner europei: instabilità politica, riforme annunciate e mai completate, difficoltà nella gestione dei conti pubblici e, soprattutto, nell’utilizzo delle risorse europee avevano progressivamente eroso la fiducia.

A ciò si aggiungeva una persistente incomprensione della natura dell’Unione europea, ancora percepita come una semplice evoluzione delle vecchie Comunità europee, nonostante i profondi cambiamenti intervenuti dopo la fine della guerra fredda, l’allargamento a Est e l’introduzione dell’euro.

In questo quadro, il semestre di Presidenza italiana ha rappresentato un primo, significativo passo verso il recupero di credibilità. Non ha risolto i problemi strutturali del Paese, ma ha segnato un’inversione di tendenza, dimostrando che l’Italia può tornare a essere un interlocutore affidabile e costruttivo.

In un’Unione europea che può, in teoria, fare a meno dell’Italia, ma in cui l’Italia non può fare a meno dell’Europa, la credibilità resta la condizione essenziale per continuare a incidere sulle scelte comuni. L’alternativa è la marginalizzazione, con il rischio di diventare un fattore di freno per quei Paesi che intendono rafforzare il processo di integrazione europea.


Aggiornamenti successivi e articoli collegati

Per approfondire o seguire l’evoluzione del semestre europeo dell’Italia si possono consultare i seguenti articoli collegati pubblicati su Fare l’Europa:

1° luglio 2014. Il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione europea (2014)