🇪🇺 Punti chiave
• Prima valutazione UE della direttiva del 2019 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare
• Che cosa emerge sull’efficacia delle regole europee e sui loro limiti applicativi
• Differenze tra Stati membri nell’attuazione e nei controlli
• Il ruolo dell’Italia nell’enforcement e nei risultati osservati
• Il nesso tra valutazione della direttiva e nuove proposte legislative UE
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Introduzione: dalla direttiva del 2019 alle nuove proposte della Commissione
Nel 2019 l’Unione europea ha adottato, per la prima volta, una disciplina comune contro le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare, con l’obiettivo di tutelare agricoltori e piccoli fornitori dagli abusi di potere contrattuale esercitati dagli acquirenti più forti, in particolare nei settori della trasformazione e della distribuzione.
La Direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, cui a suo tempo ho dedicato uno specifico approfondimento, ha rappresentato un passaggio importante, ma anche prudente: un livello minimo di armonizzazione, lasciando agli Stati membri ampi margini di manovra nell’attuazione e nei controlli. A distanza di alcuni anni dalla sua entrata in vigore effettiva, la Commissione europea ha pubblicato la prima valutazione ufficiale della direttiva, accompagnata da un approfondito documento di lavoro dei servizi.
Questa valutazione arriva in un momento politicamente significativo. Solo pochi mesi prima, nel maggio 2025, la Commissione aveva presentato una proposta di regolamento volta a rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, modificando tre pilastri della politica agricola comune e dell’organizzazione dei mercati. Una proposta recente che ho già analizzato su questo blog, evidenziandone il potenziale di riequilibrio dei rapporti di forza lungo la catena del valore.
La sequenza temporale non è casuale: la valutazione della direttiva sulle pratiche sleali fornisce infatti la base empirica e politica su cui si innestano le nuove iniziative legislative. Per comprenderne davvero il senso, è utile partire proprio dai risultati di questa prima verifica.
I risultati della valutazione: luci e ombre dell’intervento europeo
La valutazione condotta dalla Commissione offre un quadro articolato, che evita sia l’autocompiacimento sia il giudizio negativo sommario. Il messaggio di fondo è chiaro: la direttiva ha migliorato il contesto, ma non ha ancora corretto gli squilibri strutturali della filiera.
Miglioramenti percepiti, ma risultati ancora limitati
Secondo la Commissione, non è possibile dimostrare una riduzione netta e generalizzata delle pratiche sleali in tutta l’Unione. Tuttavia, emergono segnali positivi su alcuni aspetti particolarmente sensibili per gli agricoltori:
- una diminuzione dei ritardi di pagamento, soprattutto per i prodotti deperibili;
- una maggiore attenzione alla forma e alla chiarezza dei contratti;
- un progressivo aumento delle attività di controllo da parte delle autorità nazionali.
Questi risultati, pur incoraggianti, restano parziali e disomogenei. La percezione degli effetti varia notevolmente lungo la filiera: gli agricoltori e i piccoli fornitori tendono a segnalare miglioramenti, mentre gli acquirenti esprimono valutazioni più scettiche, spesso attribuendo i cambiamenti a iniziative volontarie interne piuttosto che all’effetto diretto della normativa europea.
Il nodo della consapevolezza e della paura
Uno degli elementi più critici emersi dalla valutazione riguarda la scarsa conoscenza dei diritti previsti dalla direttiva. Una quota rilevante di agricoltori non sa con precisione quali pratiche siano vietate, né a chi rivolgersi in caso di violazione.
A questo si aggiunge un fattore ben noto ma difficile da affrontare: il timore di ritorsioni commerciali. Molti fornitori evitano di presentare denunce per paura di perdere il cliente principale o di subire condizioni peggiorative in futuro. La Commissione riconosce esplicitamente che questo “fattore paura” rappresenta uno dei principali ostacoli all’effettività della tutela.
Applicazione disomogenea tra Stati membri
La valutazione mette in luce forti differenze nazionali:
- alcuni Stati hanno adottato un approccio attivo, con controlli frequenti e sanzioni significative;
- altri si sono limitati a un recepimento formale, con pochissime indagini avviate.
Questa frammentazione indebolisce l’obiettivo di garantire condizioni di concorrenza eque nel mercato interno e rende difficile affrontare le pratiche sleali nei rapporti transfrontalieri.
Un messaggio politico esplicito
Il punto forse più rilevante della valutazione è il cambio di tono della Commissione. Il problema delle pratiche sleali non viene più trattato come una questione puramente procedurale o contrattuale, ma come un fattore che incide direttamente sulla redditività, sulla resilienza e sulla competitività dell’agricoltura europea.
In questo quadro, la Commissione afferma che occorre evitare che gli agricoltori siano costretti a vendere sistematicamente al di sotto dei costi di produzione, aprendo esplicitamente la riflessione su strumenti più incisivi rispetto a quelli previsti nel 2019.
Il caso italiano: un laboratorio di applicazione attiva
All’interno di questo panorama europeo disomogeneo, l’Italia emerge come un caso particolarmente significativo.
Un numero elevato di controlli e indagini
Dai dati raccolti dalla Commissione risulta che l’Italia è tra i pochi Stati membri che hanno concentrato la maggior parte delle attività di controllo svolte a livello europeo negli ultimi anni. Insieme a Spagna, Ungheria e Cipro, l’Italia rappresenta una quota molto elevata delle indagini avviate.
Questo dato non va interpretato come segnale di una maggiore diffusione delle pratiche sleali nel nostro Paese, ma piuttosto come il risultato di una scelta amministrativa e politica: utilizzare in modo attivo gli strumenti di controllo, anche avviando verifiche d’ufficio, senza attendere le denunce dei fornitori.
Continuità con la normativa nazionale preesistente
La valutazione evidenzia che gli Stati membri dotati di una disciplina nazionale precedente all’adozione della direttiva europea hanno tendenzialmente applicato le nuove regole in modo più rigoroso. L’Italia rientra pienamente in questo gruppo.
L’esistenza di un sistema di controllo già strutturato ha facilitato:
- l’uso di sanzioni dissuasive;
- il ricorso a ispezioni amministrative;
- una maggiore visibilità dell’azione pubblica nel settore.
Effetti concreti sui tempi di pagamento
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda i tempi di pagamento. In Italia, come in altri Stati membri attivi nell’applicazione, si osserva una riduzione dei ritardi, con effetti positivi sui flussi di cassa delle aziende agricole.
Si tratta di un risultato spesso sottovalutato nel dibattito pubblico, ma cruciale: migliorare la puntualità dei pagamenti significa ridurre il ricorso al credito, abbassare i costi finanziari e aumentare la capacità di investimento delle imprese agricole.
Dalla valutazione alle nuove proposte: un filo logico evidente
Letta alla luce di questi elementi, la proposta di regolamento presentata dalla Commissione nel maggio 2025 appare meno come una svolta improvvisa e più come l’evoluzione naturale di una diagnosi ormai consolidata.
La valutazione mostra che:
- vietare alcune pratiche non basta se i rapporti di forza restano squilibrati;
- la tutela individuale è fragile se non è accompagnata da strumenti collettivi;
- l’enforcement, da solo, non può correggere problemi strutturali di formazione dei prezzi.
Da qui la scelta di intervenire:
- sul quadro contrattuale,
- sulla cooperazione tra produttori,
- sulla trasparenza e sulla distribuzione del valore lungo la filiera.
Conclusioni: una nuova fase per la politica agroalimentare europea
La prima valutazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali segna un passaggio importante: l’Unione europea riconosce apertamente i limiti dell’approccio adottato nel 2019.
La sfida che si apre ora è più ambiziosa e politicamente sensibile: non solo prevenire gli abusi più evidenti, ma incidere sui meccanismi che determinano la redditività agricola. In questo senso, il rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera non è più una questione marginale, ma uno dei nodi centrali della sostenibilità economica e sociale dei sistemi alimentari europei.
Il confronto che si aprirà nei prossimi mesi tra Commissione, Parlamento europeo e Stati membri dirà se questa consapevolezza sarà tradotta in scelte coerenti. L’esperienza italiana dimostra che l’applicazione attiva delle regole può produrre risultati concreti, ma anche che le regole, da sole, non bastano.
ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:
- Commissione europea, Valutazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, doc.COM(2025) 728 del 1° dicembre 2025
- COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT, Evaluation of the Directive (EU) 2019/633 on unfair trading practices in business-to-business relationships in the agricultural and food supply chain, doc. SWD(2025) 405 del 1° dicembre 2025
Aggiornamenti successivi e articoli collegati
Per approfondire o seguire l’evoluzione dei temi trattati, si possono consultare i seguenti articoli collegati pubblicati su Fare l’Europa:
11 luglio 2025. Rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare: la proposta legislativa 2025
13 aprile 2018. La tutela delle piccole imprese agricole nella filiera alimentare
