Tre passaggi del “Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Parlamento nel giorno del giuramento” hanno riguardato direttamente l’Unione europea: due con risvolti soprattutto di politica interna; uno, invece, più strategico, che svela la concezione del processo di integrazione europea del nuovo Presidente della Repubblica italiana.
Nel primo passaggio, sulla crisi economica in corso, il neo-Presidente ha ribadito che: “E’ indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo” e ha apertamente condiviso la strategia seguita dal Governo italiano nel corso del semestre di Presidenza dell’Unione Europea.
Nel secondo passaggio, riferito al tema dell’immigrazione, il neo-Presidente ha sostenuto che “è questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale”.
Fin qui nulla di nuovo.
Il passaggio più importante è il terzo, dove egli afferma:
“Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali.
L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio. L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia”.
Sembrano affermazioni contraddittorie.
Secondo lo storico inglese Alan Milward (The Reconstruction of Western Europe 1945-51, 1984), la costruzione europea non rappresenterebbe la crisi dello Stato nazionale, come sostenuto dagli studiosi federalisti e dai militanti europeisti, ma il suo rafforzamento e il suo adeguamento a una nuova realtà internazionale, attraverso l’utilizzazione di forme di parziale integrazione di stampo funzionalista. Alla luce di tale tesi, la prospettiva di costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”, quale concepita in origine dai Padri fondatori, sembrerebbe relegata al regno dell’utopia.
Intende sposare questa vecchia tesi il neo-Presidente, quando sostiene che: “Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità”?
Intende relegare l’adesione dell’Italia all’Unione europea a una questione di mera convenienza, senza partecipazione ideale, come è capitato negli ultimi decenni, perché essa è “un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali”?
Questa facile interpretazione, viene decisamente smentita dalle parole successive: sembrerebbe quasi che, nel rifinire e sintetizzare il testo finale del discorso, siano rimasti insieme due brani ben poco conciliabili.
Perché, subito dopo, il neo Presidente fa un’affermazione politica molto importante e impegnativa: “L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio.”
E conclude questo fondamentale passaggio con una attenzione, tutta nuova nel discorso politico italiano, all’Europa del diritto e della democrazia (i diritti di una nostra “nuova cittadinanza”: quella europea).
Il nuovo Presidente è un deciso sostenitore del processo di integrazione europea e, soprattutto, di una nuova fase che porti a un’autentica Unione politica in Europa.
Su questo tema, pone l’Italia in linea con il pensiero dei più avanzati Paesi europei che a questo obiettivo stanno lavorando da anni, anche se in Italia se ne parla poco ….
Il convinto europeismo del nuovo Presidente non emerge solo dalle sue parole, ma dalla sua stessa testimonianza di vita.
Non è da dimenticare, infatti, che nel 1990, si dimise dal Governo perché l’approvazione della cosiddetta “Legge Mammì”, sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato in Italia, che legalizzava la situazione di duopolio esistente in Italia nel settore televisivo da parte della RAI e delle televisioni private della Fininvest (situazione che, a mio avviso, è la causa diretta degli attuali fortissimi ritardi dell’Italia nella diffusione della banda larga e delle nuove tecnologie), violava una direttiva comunitaria sulla libertà di concorrenza, cosa, come affermò testualmente nelle motivazioni delle dimissioni: “in linea di principio inammissibile e inopportuna”.
Quindi, con questa fiducia, nel mio piccolo, mi unisco a tutti coloro che hanno augurato al nuovo Presidente della Repubblica italiana un buon lavoro nella costruzione di “un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace”.
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