
La Giornata dell’Europa 2024 cade a un mese esatto dalle prossime elezioni del Parlamento europeo, che in Italia si terranno l’8 e il 9 giugno.
Ciò che si festeggia in Europa il 9 maggio è semplice: la pace e l’unità tra i popoli europei, dopo secoli di guerre e devastazioni.
Lo ha efficacemente sintetizzato uno dei Padri fondatori dell’Europa, Jean Monnet, in un discorso all’associazione americana della stampa nel 1952: “Nous ne coalisons pas des États, nous unissons des hommes (Non stiamo unendo gli Stati, stiamo unendo le persone).”
L’integrazione europea, infatti, ha assicurato 74 anni ininterrotti di democrazia, di libertà e di prosperità: mai in Europa vi è stato un periodo di pace così prolungato.
Eppure, negli ultimi due decenni, in particolare dopo la crisi economica e finanziaria del 2008, è cresciuto in tutti i Paesi dell’Unione europea il fenomeno dell’euroscetticismo che, nel caso più grave, che si è manifestato nel Regno Unito, ha portato alla Brexit: il 23 giugno 2016, un referendum consultivo e non vincolante indetto dal Governo inglese, ha visto la prevalenza degli elettori favorevoli all’uscita dall’Unione europea e il 31 gennaio 2020 è entrato in vigore l’accordo di recesso.
Cavalcando tale risultato, l’euroscetticismo è cresciuto in tutta Europa e, soprattutto, in Italia: nel 2022, infatti, nel nostro paese si è registrata la percentuale più alta di voti per i partiti euroscettici più estremi, quelli, per capirci, favorevoli ad un’uscita dall’euro e, quindi, dall’Unione europea. Fenomeni di portata analoga si sono verificati solo in Ungheria e Polonia.
In questi tre Paesi, la quota di voti per i partiti euroscettici nelle elezioni parlamentari nazionali ha superato il 50% dei votanti, favorita anche da una costante diminuzione del numero dei votanti.
Nell’Unione europea, Lituania e Malta sono stati gli unici paesi a non aver registrato voti per i partiti euroscettici nelle ultime elezioni parlamentari.
Brexit: un esempio da manuale di manipolazione dell’opinione pubblica
Oggi, tuttavia, l’euroscetticismo sta assumendo forme diverse e più attenuate; nessun partito, nemmeno in Italia, Polonia e Ungheria, parla più di uscita dall’euro e dall’Unione europea; in Polonia, le elezioni del Parlamento dell’ottobre scorso hanno portato a un nuovo governo guidato da un convinto europeista.
Secondo gli osservatori più attenti, le nuove forme di euroscetticismo e la sua attenuazione sono dovuti al fatto che l’opinione pubblica europea sta prendendo coscienza delle conseguenze della Brexit e, in particolare, di due aspetti.
Il primo consiste nel fatto che l’uscita dall’Unione europea ha rappresentato una scelta che si sta rivelando sbagliata e controproducente per il Regno Unito.
Oggi, infatti, il valore della sterlina è diminuito; i tassi di interesse per cittadini e imprese sono aumentati; le imprese, soprattutto piccole e medie, si trovano ad affrontare costi molto alti dovuti ai nuovi controlli alle frontiere sul commercio e, quindi, sono meno competitive; in generale, la situazione economica e sociale continua a peggiorare, tanto che, all’orizzonte, si prefigura, se non una marcia indietro, un nuovo accordo di associazione tra Regno Unito e Unione europea.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che i risultati del referendum britannico sono stati l’effetto di gravissime forme di manipolazione e di disinformazione dell’opinione pubblica, cioè il frutto di un processo democratico alterato, sia dai fautori interni della Brexit, sia dall’influsso di potenze ed entità straniere, anche mediante l’utilizzo illegale di dati degli utenti di Internet (si ricorderà lo scandalo della società Cambridge Analytica).
Lo hanno dimostrato numerose ricerche e analisi, compiute soprattutto al di fuori dell’Europa.
Cito, per tutti, tre studi, nei quali si potrà trovare anche una ricca bibliografia, e che invito a leggere perché parlano delle tecniche più avanzate di disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica e degli elettori:
- Natalie-Anne Hall (2020), Understanding Brexit on Facebook: Developing Close-up, Qualitative Methodologies for Social Media Research (Comprendere la Brexit su Facebook: sviluppare metodologie qualitative e ravvicinate per la ricerca sui social media), Sage Journals, Volume 27, Issue 3
- Traberg, C. S., Roozenbeek, J., e van der Linden, S. (2022), Psychological Inoculation against Misinformation: Current Evidence and Future Directions (Inoculazione psicologica contro la disinformazione: prove attuali e direzioni future), in The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 700(1), 136-151
- Jon Roozenbeek et al. (2022), Psychological inoculation improves resilience against misinformation on social media (L’inoculazione psicologica migliora la resilienza contro la disinformazione sui social media), in ScienceAdvances, 8, eabo6254;
Questi studi sono anche alla base delle crescenti preoccupazioni dell’Unione europea e dei suoi Stati membri sulle influenze negative, che transitano soprattutto attraverso piattaforme e i motori di ricerca online, sul dibattito civico e sui processi elettorali: tali piattaforme sono oggi importanti sedi di dibattito pubblico e di definizione dell’opinione pubblica e del comportamento degli elettori e, come è già avvenuto nel caso del referendum sulla Brexit, è attraverso di esse che sono attuate la manipolazione delle informazioni e le ingerenze straniere nelle elezioni.
Un processo democratico autentico si basa sulla libertà di opinione, sulla libertà e il pluralismo degli organi di informazione ma, proprio per queste sue caratteristiche, è il più esposto a messaggi ingannevoli e falsi e, quindi, a essere manipolato.
Le cause dell’euroscetticismo
Il fenomeno dell’euroscetticismo è senz’altro alimentato e propagato dalle campagne e dagli strumenti di disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica, ma non deve essere confuso con essi.
In altri termini, non può essere liquidato come un semplice fenomeno di strumentalizzazione della lotta politica interna, né di ingerenza straniera nei processi democratici dei Paesi dell’Unione europea: esiste una insoddisfazione verso il processo di integrazione europea che è autentica e le cui cause devono essere capite e affrontate.
In proposito, nel 2018, Andrés Rodríguez-Pose, professore di geografia economica alla London School of Economics, e Lewis Dijkstra, che dirige il Gruppo di Analisi Urbana e Territoriale del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, hanno pubblicato un importante lavoro, intitolato: “The geography of EU discontent (La geografia del malcontento)”, aggiornato nel 2023, con il titolo “The geography of EU discontent & the regional development trap (La geografia del malcontento dell’UE e la trappola dello sviluppo regionale)”.
A questo primo studio ne sono seguiti altri.

Lo studio dimostra, con riferimento alle elezioni che si sono svolte tra il 2000 e il 2022 nei Paesi dell’Unione europea, che il declino economico e industriale sono stati fattori chiave nel voto per i partiti antieuropeisti ed euroscettici.
I dati analizzati rivelano che l’euroscetticismo si annida nelle aree geografiche con tassi di occupazione più bassi oppure in aree geografiche con un livello di sviluppo medio alto ma con una forza lavoro meno istruita, impiegata soprattutto nell’industria. Paradossalmente, il fenomeno si manifesta soprattutto in Paesi che risultano tra i maggiori beneficiari delle politiche e dei finanziamenti dell’Unione europea, quali, appunto, l’Italia.
Oggi vi sono due tipi di spiegazioni del voto antieuropeista ed euroscettico.
La spiegazione classica si riferisce a fattori individuali (livello di istruzione, invecchiamento, le migrazioni), geografici (ubicazione, ruralità, densità) ed economici (occupazione, declino industriale, mancanza di opportunità).
Accanto a essa, tuttavia, più di recente è emersa una spiegazione nuova, riferita al rischio, all’intensità e alla durata di una “trappola dello sviluppo”, cioè di un forte rallentamento del tasso di crescita economica in Paesi, all’interno di essi, in regioni, considerate a reddito medio. Si pensi all’Italia che, negli ultimi vent’anni, vive una fase di stagnazione economica, che sta via via colpendo tutte le aree del paese, anche le regioni più sviluppate del centro-nord.
La IX relazione sulla politica di coesione, presentata dalla Commissione europea il 27 marzo scorso [doc. COM(2024) 149], riporta le seguente mappa sulla crescita regionale del PIL pro-capite rispetto alle medie dell’Unione europea e nazionali, tra il 2001 e il 2021.
Tutte le regioni in verde (chiaro e scuro) hanno registrato una crescita superiore alla media dell’Unione, mentre la crescita delle regioni in giallo e arancione è stata inferiore alla media della stessa Unione. Inoltre, le due tonalità del colore (verde chiaro e scuro, giallo e arancione) indicano la crescita regionale rispetto alla media nazionale. L’Italia non ha una sola regione con una crescita del PIL pro-capite che, negli ultimi 20 anni, sia stata superiore alla media dell’Unione europea: solo tre regioni italiane (Lombardia, Trentino Alto Adige e Basilicata) hanno avuto una crescita superiore alla media nazionale.

Questi Paesi e queste regioni si trovano ad affrontare una trappola dello sviluppo contrassegnata da una crescita del PIL, una produttività e un’occupazione pro-capite inferiori rispetto alla media dell’Unione europea: in un precedente articolo del blog, mi sono soffermato su un aspetto particolare del fenomeno, denominato “trappola dello sviluppo dei talenti”, che colpisce 82 regioni dell’Unione europea, tra le quali, in Italia, anche il Piemonte e il Friuli-Venezia Giulia, ma che sta lambendo anche regioni come il Veneto, nel quale si registra, da un decennio, una fuga dei giovani neolaureati.
Sempre la citata IX relazione sulla politica di coesione dell’Unione europea riporta la mappa aggiornata di queste regioni.

Queste stesse regioni presentano non solo un calo della popolazione in età lavorativa e una fuga dei giovani, ma anche carenze strutturali specifiche come l’inefficienza del mercato del lavoro e dei sistemi di istruzione, formazione e apprendimento per gli adulti, scarsi risultati nei settori dell’innovazione, della governance pubblica o dello sviluppo delle imprese e un accesso limitato ai servizi. Sono regioni dominate dall’incertezza nel proprio futuro.
Come affrontare l’euroscetticismo?
Non esiste una risposta univoca, né una risposta semplice al fenomeno dell’euroscetticismo.
In termini di spiegazione classica – che, come ho scritto, include determinanti individuali, geografiche ed economiche -, il voto euroscettico potrà essere ridotto da livelli nazionali e regionali più elevati di occupazione, da più persone con un’istruzione superiore terziaria (più laureati), da una migliore qualità del governo e dei servizi pubblici, da una quota più elevata di residenti nati in un altro Stato membro dell’Unione, da una densità di popolazione più elevata e, non da ultimo, da una maggiore affluenza alle urne.
D’altro canto, ciò non sembra essere sufficiente. Lo studio osserva che è anche vero che un maggiore PIL pro-capite, più posti di lavoro nell’industria, più migrazione netta, processi di invecchiamento della popolazione e immigrati provenienti da paesi extra-UE, sono correlati a livelli più elevati di voto euroscettico.
In termini di nuove spiegazioni relative al rischio, all’intensità e alla durata di una trappola dello sviluppo, lo studio evidenzia la seguente dinamica: il rischio di trovarsi o di entrare in una trappola dello sviluppo è basso nei paesi baltici, in Polonia, in Slovacchia, in gran parte della Bulgaria, nella Repubblica Ceca orientale, nella Romania occidentale, nell’Ungheria meridionale, in Irlanda (Cork), nel Portogallo orientale e nella Spagna occidentale. Al contrario, il rischio è elevato in Francia, Italia, nell’entroterra della Croazia, in gran parte della Grecia, in parti della Danimarca e nelle città di Francoforte, Vienna e Lubiana, con l’aggravante che diverse regioni della Francia, Italia, Grecia e Croazia si trovano da decenni in tale situazione
Lo studio osserva che il legame tra voto euroscettico e paesi o regioni nella trappola dello sviluppo, appare sempre più determinante rispetto alle tradizionali cause dell’euroscetticismo, legate a fattori individuali, geografici ed economici.
In conclusione, l’antieuropeismo e l’euroscetticismo sono un fenomeno multiforme e con una forte componente territoriale: “il malcontento viene da regioni che avevano qualcosa e lo hanno perso”. Regioni intermedie, che non sono né povere né ricche, né abbastanza dinamiche da attirare l’attenzione politica o da attirare sufficienti investimenti pubblici e privati.
Servono, quindi, politiche mirate per aiutare questi territori a evitare e a sfuggire alle trappole dello sviluppo: a esempio, è importante migliorare la qualità del governo locale e dei servizi pubblici; dell’innovazione; dell’istruzione e della formazione.
È, comunque, necessaria anche una migliore comprensione delle cause di tali trappole e di come possono essere superate, coinvolgendo i cittadini, soprattutto quelli residenti nelle città più piccole, nei paesi e nelle aree rurali, per comprendere le loro esigenze e adattare le politiche, nazionali ed europee, agli impatti territoriali.
Su tutto questo, l’Unione europea non rappresenta il problema ma la soluzione: ha un ruolo determinante ed essenziale da svolgere.
Con questa convinzione, e con questa speranza, auguro che questo 9 maggio sia la Festa della riscoperta dell’Europa e dei nostri valori condivisi.
Aggiornamenti successivi e articoli collegati
Sul tema dell’euroscetticismo e gli studi a esso collegati, si veda anche l’aggiornamento nel seguente articolo del blog Fare l’Europa:
7 novembre 2025 – QFP 2028-2034 | L’Europa vista dai territori
