DEF 2014: una lettura in chiave europea della programmazione economica italiana (prima parte)

16 aprile 2014 di Mauro Varotto

Da quando, dal 2011, viene presentato ogni anno, entro il 30 aprile, all’Unione europea, nel quadro del cosiddetto “semestre europeo” di coordinamento delle politiche economiche nazionali, il Documento di economia e finanza (DEF) è diventato il biglietto da visita con cui i nostri Governi si presentano in Europa.

Devo subito dire che, dal 2011 a oggi, sono stati ben quattro i Governi a presentare il proprio biglietto da visita in Europa, ogni biglietto molto diverso dal precedente.

DEF 2011: Governo Berlusconi

Era il 13 aprile 2011 quando il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, e il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sincronizzando repentinamente la programmazione nazionale e il relativo calendario con le regole della nuova governance economica dell’Unione europea, anticiparono dall’autunno alla primavera la presentazione del DEF, assumendo in sede europea impegni che hanno vincolato anche i successivi Governi, fino a oggi.

Il primo DEF italiano in versione europea  era articolato in tre sezioni:

  1. Programma di stabilità, con indicati gli obiettivi di finanza pubblica perseguiti dall’Italia nel triennio successivo. Fu proprio con questo documento che il nostro Paese assunse, nei confronti dell’Unione europea, l’impegno – riporto testualmente dalla introduzione – “di introdurre in Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio, nell’interesse insieme italiano ed europeo (…)” e “di raggiungere, entro il 2014, un livello prossimo al pareggio di bilancio (…), poi, via sistematico incremento del surplus primario, a proseguire lungo il sentiero della riduzione del debito pubblico”;
  2. Analisi e tendenze della finanza pubblica, dove venivano riportati i dati di consuntivo dei conti pubblici dell’anno precedente, gli eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi indicati nei precedenti documenti programmatici, e le previsioni di finanza pubblica per il successivo triennio;
  3. Programma nazionale di riforma, contenente i cinque obiettivi della strategia “Europa 2020. Per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, adattati al contesto nazionale. Nel DEF 2011 furono fissati, in via definitiva, gli obiettivi che l’Italia si impegna a raggiungere, entro il 2020, in materia di occupazione, investimenti in ricerca e sviluppo, clima e ambiente, istruzione e inclusione sociale e le relative riforme.

Questo fu il primo biglietto da visita, in stile “diplomatico”, presentato all’Unione europea, dove, sin dalle prime pagine, si potevano cogliere le posizioni di totale condivisione e adesione, del nostro Governo, alle nuove regole europee sulle politiche fiscali nazionali: “Stabilità e solidità della finanza pubblica – si legge nell’introduzione al DEF 2011 – sono essenziali, tanto nel tempo presente, quanto nel tempo a venire. Non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio democratico, senza stabilità e solidità della finanza pubblica. Ne fanno prova le memorie storiche che ci vengono dal ‘900 …  Il consenso cui si è giunti in tutti i principali fora internazionali – G7, G20, IMF, OCSE, Unione europea – è che l’obiettivo principale delle politiche economiche – una crescita duratura ed equa – non è raggiungibile, se non sul presupposto e nel contesto della stabilità e solidità finanziaria”.

Sappiamo tutti come andò a finire, nonostante i solenni impegni assunti dall’Italia: solo qualche mese dopo, a metà del 2011, lo Stato italiano si trovò prossimo al fallimento, con la Banca Centrale Europea costretta ad acquistare, indirettamente dalle banche, i nostri titoli di Stato, declassati, ormai, a un livello prossimo al valore della spazzatura.

Nonostante il gusto, molto italiano, della “dietrologia” – alimentato anche dalle fantasiose ricostruzioni di alcuni “protagonisti” della stagione politica di allora -, quel Governo si dimise solo a causa della manifesta incapacità di governare e della conseguente perdita di credibilità, europea e internazionale.

DEF 2012: Governo Monti

Tuttavia, qualche mese dopo, nell’aprile del 2012, l’Italia riuscì a presentarsi in Europa con un secondo biglietto da visita, in stile “High Tech”, firmato da un nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Economia e delle Finanze, Mario Monti.

In una situazione di gravissima emergenza, fu inviato in Europa un documento, deliberato dal Consiglio dei Ministri il 18 aprile 2012, con un titolo solenne, tutto maiuscole, quasi a sottolineare una, sinora sconosciuta (e insospettata), italica fermezza: “ITALIA 2020: RIGORE, CRESCITA ED EQUITA’ ”.

Il documento, sempre articolato in tre sezioni, si apriva con un incipit da sogno, di cui riporto alcuni stralci testuali: “Proviamo a immaginare che nel 2020 …” e proseguiva, presentando l’Italia del futuro: “… il 69 per cento delle persone tra i 24 e i 65 anni abbia un lavoro … per una donna conciliare famiglia e lavoro non sia una corsa a ostacoli, grazie a servizi che funzionano e negozi aperti in base alle esigenze … i servizi pubblici essenziali funzionino al Sud come al Nord … tutti i lavoratori siano coperti contro i rischi dalla perdita del posto di lavoro … la giustizia funzioni in tempi ragionevoli …  sia possibile aprire una attività economica senza chiedere autorizzazioni … una connessione a banda ultralarga sia accessibile al 100 per cento della popolazione. Immaginiamo di pagare meno tasse perché l’Amministrazione dello Stato è più efficiente e costa meno. Mentre il debito pubblico è sceso sotto la soglia del 100 per cento del PIL, dopo aver toccato il 120 per cento nel 2012 …”.

Al “Proviamo a immaginare …“, seguiva l’elenco dei provvedimenti, lacrime e sangue, che sarebbero stati assunti e attuati nel corso dell’anno dal nuovo Governo: erano i provvedimenti che già il precedente Governo si era impegnato ad attuare a partire dall’anno prima, ma che non era stato in grado neppure di avviare, lasciando, così, la patata bollente, come si dice, a chi sarebbe venuto dopo.

Il DEF 2012, quindi, non faceva che confermare tutti gli obiettivi del DEF 2011, ne assicurava la celere attuazione e descriveva un’Italia che ancora non esisteva, ma che tutti in Europa sognavano.

Queste parole – e il suo autorevole Autore – ebbero lo straordinario potere di rassicurare i nostri creditori (quelli che, in base ai dati Eurostat sul debito pubblico, al 31 dicembre 2013, ci prestano i 2.076 miliardi di euro che ci servono per mantenere i nostri attuali livelli di spesa pubblica) e di fugare i timori di un prossimo fallimento dello Stato italiano e di un “consolidamento” del nostro debito pubblico, sul modello della Grecia.

DEF 2013: dal Governo Monti al Governo Letta

L’anno successivo, il 10 aprile 2013, il Presidente del Consiglio, Mario Monti, e il nuovo Ministro dell’Economia e delle Finanze, Vittorio Grilli, presentarono in Europa un terzo biglietto da visita, questa volta in bianco e nero, ma stampato fronte-retro: da un lato, recava i loro nomi; dall’altro lato, una casella in bianco, dove sarebbero stati scritti i nomi del Governo che, a due mesi dalle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013, doveva ancora nascere.

Quello del 2013, quindi, fu un “non-DEF”, nel quale si faceva il punto di quanto realizzato nei mesi precedenti, senza indicare scelte future: “Coerentemente con la fase di prorogatio – era scritto nella introduzione, molto meno “aulica” del documento dell’anno prima – il Governo in carica non può formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte di indirizzo politico-legislativo e l’avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento”.

Come valutarono questo documento nell’Unione europea? Furono clementi e comprensivi, perché in Unione europea ci vogliono molto bene, anche se non sempre lo capiamo: sapevano che avevamo fatto abbastanza sacrifici e, di fronte al manifestarsi dei primi risultati positivi per i nostri conti pubblici, decisero anche di chiudere la procedura per deficit eccessivo, aperta nei confronti dell’Italia qualche anno prima a causa delle nostre spese pubbliche allegre, raccomandandoci di continuare a risparmiare, ogni anno, “qualcosina” per iniziare anche a pagare i debiti che gravano, come un macigno, sulle generazioni future (i 2.076 miliardi di euro che abbiamo preso a prestito da chi verrà dopo di noi).

DEF 2014: Governo Renzi

Arriviamo, così, ad oggi, al DEF 2014, deliberato  dal Consiglio dei Ministri l’8 aprile scorso: è il nostro quarto biglietto da visita, in stile “fantasia a colori”, che presenteremo a Bruxelles entro il 30 aprile prossimo, dopo la discussione in Parlamento, che sta avvenendo proprio in questi giorni.

Reca sul frontespizio i nomi del Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, ed è sempre articolato in tre sezioni, ma in versione “enciclopedica”, con numerosi volumi e allegati.

La sezione I e II si presentano in maniera sobria: in effetti, si parla di conti pubblici, tema noioso, in cui non c’è molto di nuovo. L’attuale Governo si muove in continuità con i precedenti esecutivi e secondo gli impegni presi, nel 2011, dal Governo Berlusconi e via via confermati. Tra le cifre, si legge il malcelato tentativo di proporre alla Commissione europea di spostare il conseguimento del pareggio di bilancio “strutturale” dell’Italia dal 2014 al 2016 (ma basterebbe anche il 2015): tuttavia, il Governo è sempre attentissimo a dare l’idea che questa può essere una opzione in più, che potrebbe accelerare la ripresa in Italia, cosa che, in fin dei conti, conviene anche all’Europa.

In altri termini, il messaggio all’Europa è: noi manteniamo gli impegni, se proprio dobbiamo; ma, se non è un problema per nessuno, possiamo anche chiedere qualche prestito in più ai mercati, in un momento particolarmente favorevole, per anticipare alcune spese che riteniamo utili per la “crescita”. E, per dimostrarvi la nostra buona fede, leggetevi bene la sezione III del nostro DEF 2014.

Infatti, bisogna arrivare a questa sezione, quella che contiene il Programma nazionale di riforma, per cogliere appieno la portata e il significato del DEF 2014 dell’Italia.

Il titolo della sezione III è, ancora una volta,  a caratteri maiuscoli: LA STRATEGIA NAZIONALE E LE PRINCIPALI INIZIATIVE. I titoli dei primi due capitoli sono eloquenti: 1. Un cambio di marcia e 2. Un anno di riforme.

Una chiave di lettura del DEF 2014 dell’Italia

Forse può sembrare insolito un invito a leggere un documento di programmazione economica nazionale, in genere consigliato come lettura serale per agevolare il sonno.

Invece, a mio avviso, il DEF 2014 dell’Italia, merita una lettura molto attenta, almeno della sua sezione III, dedicata al nuovo programma di riforme dell’Italia: si parla di ciò che ci potrebbe aspettare nel prossimo futuro, una nuova visione dell’Italia.

Certo, qualcuno penserà che di nuove visioni dell’Italia, ne produciamo almeno una all’anno, come dimostra la storia degli ultimi documenti di programmazione economica presentati a Bruxelles.

Tuttavia, questo documento, se attuato, può rappresentare una svolta radicale nel modo di fare politica nel nostro Paese: si tenta di passare da una politica che si limita alla “gestione dell’esistente” (compresa la gestione della crisi che stiamo attraversando), a una politica riformista, imperniata su una visione del futuro, sul cambiamento, sull’apertura di un lungo ciclo di riforme strutturali, con una prospettiva di sviluppo del nostro Paese, per la prima volta, a lungo termine.

Sarebbe una chiave di lettura sbagliata, confrontare le riforme del DEF 2014 con la direzione di marcia indicata dalle politiche dell’Unione europea e chiederci: “Siamo in linea, siamo davanti oppure indietro rispetto a ciò che fanno e ci chiedono di fare l’Unione europea e gli altri Stati membri?”.

Noi non siamo i primi in Europa, ma tra gli ultimi, e questo DEF 2014 non mira a farci diventare i primi: più semplicemente, punta a metterci al passo con gli altri, a recuperare il ritardo, di almeno due decenni, che l’Italia ha accumulato rispetto agli altri Paesi europei.

Non è a causa della crisi, se oggi l’Italia si trova più lontana dagli obiettivi di crescita concordati nella strategia “Europa 2020”, di quanto non fosse quando la strategia è stata adottata, nel 2010, come ho evidenziato in un precedente articolo di approfondimento.

Infatti, negli ultimi 20 anni, mentre i più avanzati Paesi dell’Unione europea facevano quelle riforme strutturali, che oggi sono alla base della loro capacità di ripresa e di crescita economica, in Italia non è avvenuto nulla di tutto questo: abbiamo assistito a un lungo e ininterrotto carosello di governi e di riforme annunciate, di riforme simulate oppure di riforme miopi, dettate dalla contingenza, senza alcuna prospettiva di sviluppo a lungo termine.

Una palude, come efficacemente è stata descritta, dall’attuale Presidente del Consiglio, la situazione in cui è stato trascinato il nostro Paese da chi ci ha governati e rappresentati in Parlamento.

Ecco perché oggi vi invito, se non a leggere integralmente, almeno a sfogliare, il DEF 2014: se sarà davvero un nuovo inizio per l’Italia oppure uno dei tanti biglietti da visita presentati all’Unione europea, lo scopriremo molto presto.

 

ACCESSO DIRETTO ALLA FONTI DI INFORMAZIONE:

I Documenti di Economia e Finanza dell’Italia, dal 2011 al 2014, sono integralmente pubblicati sul sito internet del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il DEF 2014 si compone di tre sezioni – programma di stabilità dell’Italia, analisi e tendenze della finanza pubblica, programma nazionale di riforma – e di sei allegati.

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