Le raccomandazioni di politica economica della Commissione europea indirizzate all’Italia per il 2014-2015: 1. l’analisi della situazione economica

6 giugno 2014 di Mauro Varotto

Le otto raccomandazioni di politica economica indirizzate all’Italia dalla Commissione europea il 2 giugno scorso, sono l’ennesima apertura di credito dell’Unione europea nei confronti del nostro Paese: la quarta in quattro anni.

Infatti, come ho avuto già modo di scrivere, dall’avvio del processo di coordinamento delle politiche economiche nazionali attraverso il cosiddetto “semestre europeo, avvenuto per la prima volta nel 2011, l’Italia si è presentata all’Unione europea non solo con quattro diversi governi, ma anche con quattro diversi programmi di politica economica, quattro diversi programmi di riforme strutturali e quattro diversi modi di interpretare e applicare il patto di stabilità e crescita dell’Unione.

Nonostante ciò, l’Unione europea, per la quarta volta, dimostra di credere alle “buone intenzioni” manifestate nei documenti presentati ad aprile scorso dal nuovo Governo italiano (ho illustrato il Programma di riforma 2014 dell’Italia in un precedente articolo) anche se, sino ad oggi, come evidenzia la stessa Commissione europea, si tratta principalmente, sul lato delle riforme, di “annunci” e, sul lato dei conti pubblici, di misure di cui “non sono ancora specificati i dettagli”.

Le raccomandazioni di politica economica formulate dalla Commissione europea all’Italia si basano su una dettagliata analisi della situazione del nostro Paese e sulla valutazione di due documenti fondamentali di politica economica presentati dal Governo il 22 aprile scorso: il Programma nazionale di stabilità e il Programma nazionale di riforma.

Esse diventeranno politicamente vincolanti per l’Italia solo il prossimo 8 luglio, dopo che saranno state formalmente adottate dal Consiglio dei Ministri dell’Economia e delle finanze dei Paesi dell’Unione europea (ECOFIN, acronimo di: Economic and Financial Affairs Council).

Le raccomandazioni di politica economica non riguardano solo l’Italia: quest’anno, esse forniscono orientamenti a 26 Paesi dell’Unione (tranne Grecia e Cipro, che stanno attuando programmi di aggiustamento economico), sulle modalità ritenute più opportune per rilanciare la crescita, aumentare la competitività e creare posti di lavoro, mediante misure a breve termine da adottare nel 2014-2015, quindi, per l’Italia, già a partire dalla legge di stabilità che sarà presentata dal Governo al Parlamento dopo l’estate.

Il testo delle raccomandazioni di politica economica, che la Commissione europea propone al Consiglio ECOFIN di adottare, è accompagnato da un “documento di lavoro”, in cui si trovano le analisi e i giudizi che sono alla base delle 8 raccomandazioni rivolte all’Italia.

 

La crisi ha messo in evidenza e intensificato le debolezze dell’economia italiana

Il punto di partenza per comprendere le raccomandazioni rivolte all’Italia è la situazione economica in cui si trova il nostro Paese in questo momento.

Il documento di lavoro della Commissione europea la sintetizza in un concetto e in pochi, essenziali dati:

 

“Tra il 2007 e il 2013, il PIL reale dell’Italia ha subito una contrazione dell’8,7%, rispetto alla contrazione di solo l’1,7% della zona euro nel suo insieme. L’occupazione non è scesa quanto in altri Stati membri della zona euro, ma vi è stata una drastica riduzione dell’orario di lavoro e, nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è raddoppiato passando dal 6,1% al 12,2%. Stando alle previsioni di primavera 2014 della Commissione, la crescita economica dovrebbe diventare positiva con un modesto 0,6% nel 2014 e accelerare all’1,2% nel 2015. Il mercato del lavoro reagisce con ritardo al miglioramento delle condizioni economiche, a cominciare dall’aumento delle ore di lavoro. A causa del leggero aumento dell’offerta di lavoro, il tasso di disoccupazione dovrebbe toccare il suo massimo quest’anno raggiungendo il 12,8%, per poi scendere marginalmente nel 2015. Il rapporto debito pubblico/PIL, dopo essere aumentato di 26 punti percentuali fra il 2008 e il 2013 – anche a causa del sostegno finanziario destinato ai paesi della zona euro (3,6% del PIL) – dovrebbe raggiungere un picco del 135% nel 2014”.

 

Carenze inveterate gravano sull’economia italiana

Unico caso nell’Unione europea, la situazione economica dell’Italia non è migliorata rispetto agli anni precedenti.

Secondo la Commissione europea, la causa principale consiste nella incapacità di approvare e poi di attuare alcune riforme fondamentali per la crescita sociale ed economica del nostro Paese.

Osserva la Commissione europea: “Le sfide per l’Italia sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto al 2013, ma sono diventate più urgenti a causa dei precedenti risultati sul piano dell’attuazione”: infatti, “l’Italia ha compiuto progressi limitati nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche del 2013” e, aggiungo, anche degli anni precedenti.

Quali sono le sfide alle quali l’Italia continua a non dare risposte?

La Commissione europea individua 8 ostacoli alla crescita dell’Italia, che rispecchiano le 8 raccomandazioni specificatamente indirizzate al nostro Paese:

  1. le finanze pubbliche: elevatissimo debito pubblico (nel 2014 toccherà il picco del 135% del PIL), che continua a pesare notevolmente sull’economia italiana e a rappresentare una fonte importante di vulnerabilità. Se da un lato, la debole crescita rende più difficile riportare le finanze pubbliche sulla via della sostenibilità, dall’altro lato, l’elevato debito pubblico può compromettere le prospettive di crescita, frenare la domanda interna e sottrarre risorse per la spesa pubblica produttiva;
  2. la tassazione: in Italia il carico fiscale grava pesantemente sui fattori di produzione e vi è, quindi, un notevole margine per migliorare l’efficienza del sistema tributario, spostando la pressione fiscale dal lavoro e dal capitale ai consumi, ai beni immobili e all’ambiente. Il basso livello di adempimento degli obblighi fiscali, associato alla forte presenza di un’economia sommersa e del lavoro irregolare, acuisce ulteriormente l’impatto distorsivo dell’imposizione sull’economia;
  3. la pubblica amministrazione: nonostante gli sforzi compiuti, le inefficienze della pubblica amministrazione, compreso il sistema giudiziario, continuano a gravare sulla competitività e la crescita, e rallentano l’attuazione delle riforme. Le carenze della pubblica amministrazione contribuiscono tuttora a creare un contesto imprenditoriale sfavorevole, a scoraggiare gli investimenti diretti esteri e a ostacolare la rapida attuazione delle riforme e la corretta gestione dei fondi dell’Unione europea, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Le principali carenze riguardano la complessità del quadro giuridico ai vari livelli di governo, le inveterate debolezze del sistema di giustizia civile (nonostante i recenti progressi) e le inefficienze in materia di appalti pubblici. L’elevato livello di corruzione grava ulteriormente sull’economia.
  4. il settore finanziario: i prestiti in sofferenza sono fortemente aumentati con il protrarsi della crisi, erodendo la redditività delle banche e scoraggiandole dal concedere credito, in special modo alle piccole e medie imprese. I mercati dei capitali italiani sono insufficientemente sviluppati, rendendo difficile l’accesso delle imprese a forme alternative di finanziamento, in particolare per l’innovazione. Inoltre, alcuni segmenti del settore bancario (le grandi banche cooperative, in particolare le banche popolari) destano preoccupazione per quanto riguarda le carenze del governo societario e l’efficienza in termini di costi;
  5. il mercato del lavoro: il tasso di occupazione delle persone di età compresa fra i 20 e i 64 anni (59,8% nel 2013) è ben al di sotto della media dell’Unione e dell’obiettivo nazionale stabilito nell’ambito della strategia “Europa 2020” di un’occupazione al 67-69%. Il tasso di disoccupazione è raddoppiato: dal 6,1% nel 2007 al 12,2% nel 2013. La situazione è particolarmente preoccupante per i giovani: la disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto il 40% nel 2013 e la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né sono impegnati in corsi di studio o di formazione è stata del 24% nel 2012, fra le più elevate dell’Unione, raggiungendo il 50% nel sud e il 33,6% fra i soggetti nati al di fuori dell’Unione. Anche la partecipazione femminile al mercato del lavoro è scarsa. La crescita debole della produttività del lavoro fa aumentare il costo del lavoro per unità di prodotto, gravando di conseguenza sulla competitività di costo. L’elevato cuneo fiscale sul lavoro incrementa ulteriormente il costo del lavoro;
  6. l’istruzione: l’elevato tasso di abbandono scolastico e il basso livello di istruzione universitaria sono indice di gravi lacune nel sistema di istruzione italiano. La spesa pubblica italiana per l’istruzione in percentuale del PIL è inferiore alla media dell’Unione (4,2% contro il 5,3% nel 2012), specialmente per quanto riguarda l’istruzione terziaria. Sebbene leggermente in calo, il tasso di abbandono scolastico (17,0% nel 2013) è ancora molto superiore alla media dell’Unione (11,9% nel 2013) e all’obiettivo nazionale del 16% nell’ambito della strategia “Europa 2020”. Il tasso è specialmente elevato nelle regioni meridionali e raggiunge il 40% fra i soggetti nati al di fuori dell’Unione. Il deficit di competenze nella popolazione adulta limita la capacità d’innovazione dell’economia. Desta particolare preoccupazione il basso livello di istruzione in confronto ad altri Stati membri dell’Unione: l’Italia ha una delle percentuali più elevate di persone di età compresa fra i 25 e i 34 anni con un basso livello di istruzione e la percentuale di popolazione con un’istruzione universitaria, nella fascia di età 30-34 (il 22,4% nel 2013), è fra le più basse dell’Unione e ben inferiore all’obiettivo nazionale del 26-27% fissato nell’ambito della strategia “Europa 2020”. Le competenze alfabetiche e matematiche degli adulti sono inferiori alla media OCSE in tutte le fasce di età. Il passaggio dalla scuola al lavoro rimane problematico, anche per le persone molto qualificate. L’Italia ha una bassissima percentuale di giovani che studiano e lavorano contemporaneamente. Il tasso di occupazione dei giovani laureati (25-29 anni) è molto inferiore alla media dell’Unione e a quello dei giovani che hanno solo un titolo di istruzione secondaria superiore.
  7. la coesione sociale: dall’inizio della crisi, l’Italia ha registrato uno dei maggiori incrementi della percentuale di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell’Unione. La percentuale di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale è in rapida crescita e il sistema di protezione sociale non riesce a far fronte al problema. Le persone a rischio di povertà o esclusione sociale sono passate, in Italia, dai 17,1 milioni nel 2011 ai 18,2 milioni nel 2012. Non è stato fatto alcun progresso verso il conseguimento dell’obiettivo nazionale nell’ambito della strategia “Europa 2020” di ridurre, entro il 2020, a 12,8 milioni le persone in tale situazione. In Italia la spesa sociale è largamente orientata a favore degli anziani e dominata dalla spesa per le pensioni che, con il 17% del PIL nel 2012, rappresenta una delle quote più elevate in Europa. Resta poco margine per le altre funzioni di protezione sociale, cioè il sostegno alle famiglie e ai minori e per affrontare il rischio di esclusione sociale e povertà. La spesa per l’assistenza sociale è frammentata e non esiste alcun sistema nazionale di reddito minimo garantito. Di conseguenza, nell’Unione europea, l’Italia ha la terza percentuale più elevata di persone che vivono in famiglie povere o senza lavoro che non beneficiano di trasferimenti sociali e un’elevata percentuale della popolazione in età lavorativa dipende dal reddito pensionistico di un membro della famiglia;
  8. i servizi e le industrie di rete: l’inefficace allocazione delle risorse è all’origine del divario di crescita dell’Italia. Sebbene l’Italia abbia migliorato notevolmente la regolamentazione dei mercati dei prodotti negli ultimi quindici anni, l’attuazione delle misure adottate è spesso inefficace, in parte a causa dell’insufficiente coordinamento fra le autorità centrali e locali. Inoltre, permangono inefficienze e restrizioni della concorrenza in importanti settori dell’economia (compresi i servizi professionali, quali le attività forensi, i servizi postali, le assicurazioni, i trasporti e le telecomunicazioni, il commercio al dettaglio, la distribuzione del carburante e i servizi pubblici locali) e vi sono strozzature infrastrutturali nei settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Infine, la scarsa capacità di ricerca e innovazione contribuisce a mantenere la specializzazione dell’Italia in prodotti a bassa tecnologia e grava sul potenziale di crescita e sulla competitività esterna.

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Raccomandazione della Commissione europea, Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell’Italia, COM(2014) 413 del 2.6.2014

Documento di lavoro dei servizi della Commissione, Valutazione del programma nazionale di riforma e del programma di stabilità 2014 dell’ITALIA, doc. SWD(2014) 413 del 2.6.2014

I documenti relativi agli altri Paesi dell’Unione europea sono disponibili nella pagina della Commissione europea dedicata al “Semestre europeo 2014”.

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