La politica di coesione 2021-2027 parte dal Sud

28 febbraio 2020 di Mauro Varotto

Il 14 febbraio scorso il Governo ha presentato il piano “Sud 2030 – Sviluppo e Coesione per l’Italia”, cioè la strategia nazionale per favorire lo sviluppo sostenibile delle otto Regioni italiane che costituiscono il cosiddetto “Mezzogiorno geografico”.

Sono interessate le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, classificate nella futura politica di coesione dell’Unione europea come “Regioni meno sviluppate nel 2021-2027”, e della Regione Abruzzo, classificata come “Regioni in transizione”.

Tuttavia, dal piano emergono alcune importanti indicazioni per la futura programmazione dei fondi a finalità strutturale (FESR ed FSE+) anche nelle restanti regioni italiane, nel quadro delle proposte presentate dalla Commissione europea e che ho già illustrato.

La finalità del piano

Il piano “Sud 2030” ha un orizzonte temporale decennale 2020-2030 e, sin dalle premesse, si evince che ha la precisa finalità di “Rilanciare gli investimenti pubblici e privati, riscoprendo il valore dell’interdipendenza tra Nord e Sud e della dimensione territoriale della coesione, è la leva per colmare i divari e riavviare lo sviluppo”.

In altre parole, è un piano che ha l’ambizione di “investire nel Sud oggi pensando all’Italia di domani” se è vero, come si legge sempre nelle pagine introduttive del documento, che “Il grado di interdipendenza economica tra le aree, trascurato in questo ventennio di contrapposizione territoriale, è molto forte. La SVIMEZ calcola che ogni euro investito in infrastrutture al Sud attivi 0,4 euro di domanda di beni e servizi nel Centro-Nord”, e che, “Secondo le stime della Banca d’Italia, un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo PIL per un decennio (circa 4 miliardi annui), avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana”.

Investire al Sud, quindi, fa bene all’intera economia italiana e un riequilibro territoriale della spesa per investimenti pubblici sarebbe non solo efficace nell’area ma efficiente sul piano delle finanze pubbliche del nostro Paese.

Le risorse finanziarie del piano

Il piano “Sud 2030” parte dalle risorse finanziarie disponibili sia nell’immediato, nell’ambito, quindi, di somme già stanziate e disponibili ma non ancora spese a causa di ritardi nell’azione delle pubbliche amministrazioni italiane di ogni livello di governo; sia nel futuro, nel quadro della politica di coesione, europea e nazionale, per il periodo 2021-2027 la quale, tuttavia, produrrà i suoi effetti finanziari, in termini di spesa, fino al 2030 (quest’ultima circostanza spiega la durata decennale del piano).

Sono già disponibili, in cassa, 21 miliardi di euro per investimenti nelle otto Regioni del Sud nel triennio 2021-2022: si tratta di risorse già destinate al Mezzogiorno e non spese. Si pensi solo al fatto che, come evidenzia il Governo, “la capacità di utilizzo del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) ha subito infatti, negli ultimi anni, un drastico ridimensionamento: al 31 ottobre 2019, lo stato di attuazione degli interventi finanziati con il FSC 2014-20 era assai deludente, con un avanzamento dei pagamenti sul totale delle risorse programmate pari ad appena il 3,3%”.

Il tema, quindi, è quello di accelerare la spesa, anche per non rischiare di perdere i fondi messi a disposizione dal bilancio dell’Unione europea.

Il riquadro sottostante fornisce una sintesi delle diverse fonti di finanziamento: circa 7 miliardi di euro nel triennio 2021-2022, pari all’1,8 per cento del PIL del Mezzogiorno.

 

La seconda fonte di finanziamento del piano “Sud 2030” è la nuova programmazione per il periodo 2021-2027, delle risorse della politica di coesione nazionale ed europea.

L’ammontare complessivo di risorse aggiuntive per il Sud è notevole, circa 123 miliardi di euro.

Il seguente riquadro, estratto dal documento governativo, sintetizza le diverse fonti di finanziamento per le otto Regioni del Mezzogiorno.

 

La strategia di sviluppo

Definite le risorse finanziarie in gioco, il piano passa a delineare la strategia di sviluppo per il Sud, quella che, in maniera efficace, è definita “un’idea di Sud al 2030”.

La politica di coesione nazionale post-2020 si basa su un approccio per “missioni”, mutuato dalla metodologia che la professoressa Mariana Mazzucato ha proposto alla Commissione europea per l’attuazione del programma quadro di ricerca e innovazione “Orizzonte Europa” e che ho illustrato in un precedente articolo.

In estrema sintesi, piuttosto che concentrarsi su settori particolari – come nelle politiche pubbliche tradizionali – la politica orientata alla missione (mission-oriented) si concentra su sfide sociali specifiche relative a un problema, per risolvere il quale interagiscono molti settori diversi e soprattutto molti attori diversi, sia pubblici che privati: tale approccio dovrebbe creare il potenziale per maggiori ricadute rispetto al tradizionale approccio settoriale.

Le missioni cinque grandi “missioni” nazionali della coesione su cui concentrare gli investimenti del piano “Sud 2030” sono quelle già definite nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, approvata dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2019, sulla base delle raccomandazioni della Commissione europea offerte nel Country Report 2019 per l’Italia, delle più recenti proposte delle parti economiche e sociali (Confindustria-CGIL-CISL-UIL hanno presentato al Governo un documento “Mezzogiorno” il 14 ottobre 2019), e hanno come orizzonte strategico la sfida dello sviluppo sostenibile sancita dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Le cinque grandi missioni per il Sud sono così articolate:

  1. Un Sud rivolto ai giovani: investire su tutta la filiera dell’istruzione, a partire dalla lotta alla povertà educativa minorile, per rafforzare il capitale umano, ridurre le disuguaglianze e riattivare la mobilità sociale;
  2. Un Sud connesso e inclusivo: infittire e ammodernare le infrastrutture, materiali e sociali, come fattore di connessione e di inclusione sociale, per spezzare l’isolamento di alcune aree del Mezzogiorno e l’isolamento dei cittadini in condizioni di bisogno;
  3. Un Sud per la svolta ecologica: rafforzare gli impegni del Green Deal al Sud e nelle aree interne, per realizzare alcuni obiettivi specifici dell’Agenda ONU 2030 e mitigare i rischi connessi ai cambiamenti climatici;
  4. Un Sud frontiera dell’innovazione: supportare il trasferimento tecnologico e il rafforzamento delle reti tra ricerca e impresa, nell’ambito di una nuova strategia di politica industriale;
  5. Un Sud aperto al mondo nel Mediterraneo: rafforzare la vocazione internazionale dell’economia e della società meridionale e adottare l’opzione strategica mediterranea, anche mediante il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali (ZES) e i programmi di cooperazione allo sviluppo.

Tali cinque missioni sono accompagnate da due ulteriori componenti che caratterizzeranno anche la programmazione 2021-2027: politiche strutturali e misure urgenti per l’impresa e il lavoro; un piano per la rigenerazione della pubblica amministrazione; infine, una nuova politica territoriale, incentrata sul rilancio della Strategia nazionale per le aree interne, sui processi di rigenerazione urbana e sul riconoscimento degli svantaggi connessi alla condizione di insularità.

Infine, il piano “Sud 2030” elenca puntualmente – per ciascuna delle cinque missioni – le azioni che verranno attuate già a partire dall’anno in corso: dalle scuole aperte tutto il giorno al piano infrastrutturale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da oltre 33 miliardi; dalla creazione delle “case della salute” alla istituzione di un “reddito energetico” per le famiglie; dagli interventi per la creazione di start-up al piano per l’export, fino a una serie di “progetti bandiera”.

 

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Sud 2030 – Sviluppo e Coesione per l’Italia

 

 

 

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