Non solo “Fiscal Compact”: il “Patto europeo per la crescita e l’occupazione”
8 Maggio 2014 di Mauro Varotto
Come è noto, l’Italia pullula di esperti di “Fiscal Compact” (traduco, a beneficio dei medesimi esperti: “Patto di bilancio”), il trattato internazionale sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria europea, attraverso il quale tutti i Paesi dell’Unione europea (a eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca), il 2 marzo 2012 si sono impegnati, per iscritto, a non creare ulteriore debito pubblico (cioè, a smettere di sottrarre risorse alle generazioni future), e iniziare a pagare, un po’ alla volta, nel giro di vent’anni, una parte significativa dell’enorme debito pubblico sin qui accumulato.
Pare, invece, che in Italia siano molti meno gli esperti dell’altro importante accordo tra i Paesi dell’Unione, il “Patto per la crescita e l’occupazione”, approvato subito dopo il “Fiscal Compact” dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, nel Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012.
Il “Patto per la crescita e l’occupazione” – di cui l’Italia sembra ignorare l’esistenza, pur avendolo sottoscritto -, rappresenta, oggi, uno dei principali strumenti dell’Unione per rilanciare la crescita, gli investimenti e l’occupazione e rendere l’Europa più competitiva.
Il Patto, che completa e rafforza quanto è stato intrapreso per ripristinare la stabilità finanziaria e approfondire l’unione economica e monetaria tra i Paesi dell’Unione europea, prevede una serie di iniziative che sia gli Stati membri che l’Unione europea, ciascuno per la parte di propria competenza, si sono impegnati ad adottare, al fine di rilanciare la crescita in Europa.
In questo articolo mi soffermerò sugli impegni che si sono assunti gli Stati membri, Italia compresa.
Infatti, bisogna sapere che i singoli Stati membri dell’Unione conservano ancora molti dei poteri e gestiscono ancora la maggior parte degli strumenti necessari per favorire la crescita economica e sociale nei rispettivi Paesi: per fare qualche esempio, le norme sul lavoro e gli incentivi per l’occupazione; i sistemi di istruzione e di formazione; la politica sociale; la politica della ricerca e dell’innovazione; la politica industriale e per le imprese in genere; la politica energetica; quella dei trasporti e della logistica.
In questi e altri ambiti, l’Unione europea ha ben pochi poteri e può fare ben poco, perché gli Stati membri si sono riservati gran parte delle competenze.
Quindi, come ben osserva Lorenzo Bini Smaghi in un agile libretto che ho presentato l’altro ieri, se in alcuni Paesi dell’Unione, come l’Italia e la Spagna, la disoccupazione giovanile sfiora il 50%, mentre in Germania è solo dell’8%, la responsabilità non è dell’Unione europea, ma è dei singoli Stati membri, perché “la differenza si spiega interamente con i diversi modelli di istruzione e di formazione, la diversa struttura del mercato del lavoro e della protezione sociale, le diverse relazioni industriali”, applicati nei diversi Stati, e “l’Europa ha ben pochi poteri in materia”.
Che cosa si sono impegnati a fare gli Stati membri dell’Unione europea attraverso il “Patto per lo sviluppo e l’occupazione”, quali impegni ha assunto anche il Governo italiano nel giugno 2012?
Si tratta di poche, semplici azioni, concordate a livello europeo ma che solo i singoli Stati hanno i poteri e gli strumenti per attuare al proprio interno, e che anche in Italia avremmo dovuto avviare già da diversi anni, ma sulle quali stiamo ancora, faticosamente, arrancando.
Riporto la parte del testo del “Patto per la crescita e l’occupazione” che si intitola: “Misure da adottare a livello degli Stati membri” e che, come si noterà, presenta ben poche difficoltà di comprensione:
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adottare le misure immediate e necessarie a livello nazionale per conseguire gli obiettivi della strategia “Europa 2020” [ho già presentato questa strategia in un precedente articolo, evidenziando come l’Italia, dal 2010 a oggi, anziché avvicinarsi si stia allontanando da tali obiettivi];
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portare avanti un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita, rispettando il “Patto di stabilità e crescita” e tenendo conto delle specificità dei singoli Paesi; in particolare, la spesa pubblica deve essere indirizzata verso investimenti nei settori orientati al futuro, aventi un collegamento diretto con il potenziale di crescita dell’economia, tenendo conto della sostenibilità dei regimi pensionistici;
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ripristinare la normale erogazione di prestiti all’economia e completare con urgenza la ristrutturazione del settore bancario;
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promuovere la crescita e la competitività, in particolare rimediando agli squilibri radicati e portando avanti le riforme strutturali per liberare il proprio potenziale di crescita, anche attraverso l’apertura alla concorrenza delle industrie di rete, la promozione dell’economia digitale, lo sfruttamento del potenziale di un’economia verde, l’abolizione delle restrizioni ingiustificate imposte ai fornitori di servizi e l’agevolazione dell’avvio di un’attività commerciale;
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lottare contro la disoccupazione e affrontare con efficacia le conseguenze sociali della crisi; portare avanti le riforme per migliorare i livelli di occupazione; intensificare gli sforzi, anche sostenuti dal Fondo sociale europeo, intesi ad aumentare l’occupazione giovanile, in particolare per facilitare la prima esperienza lavorativa dei giovani e la loro partecipazione al mercato del lavoro, al fine di assicurare che entro alcuni mesi dal completamento del percorso scolastico i giovani ricevano un’offerta qualitativamente buona di occupazione, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio [la famosa “garanzia per i giovani”, che in Italia, al momento, consiste in un portale Internet …], e sviluppare e attuare politiche efficaci per combattere la povertà e fornire assistenza alle categorie vulnerabili;
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modernizzare la pubblica amministrazione, in particolare rimediando ai ritardi della giustizia (tema sul quale ho avuto modo di soffermarmi nelle scorse settimane), riducendo gli oneri amministrativi e sviluppando i servizi amministrativi online.
Dal giugno del 2012 a oggi, che cosa ha fatto l’Italia per attuate il Patto europeo per la crescita e l’occupazione? Nulla.
Lo dimostrano i fatti e i dati, non solo dell’attuale situazione economica italiana, ma anche delle sue prospettive di evoluzione: sia la Commissione europea il 5 maggio scorso, che l’OCSE, il giorno dopo, continuano a rivedere al ribasso le stime di crescita del PIL del nostro Paese (ormai è rimasto l’unico in Europa a non essere uscito dalla crisi), che è ancora in preda a un lento, ma costante declino e si avvia al ruolo di fanalino di coda dell’Europa.
Ci prepariamo, come Paese, ad assumere, dall’1 luglio 2014, la guida dell’Unione europea per un semestre: chi ci governa annuncia di voler chiedere all’Unione europea una inversione di tendenza, rispetto a politiche improntate solo al rigore, a favore di politiche per la crescita.
Ma, in tutta Europa, le politiche per la crescita sono in atto da molti anni: è solo in Italia che iniziamo a pensarci adesso. Forse serve davvero una scossa.
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