La politica comune europea dell’immigrazione e dell’asilo: origini, evoluzione e situazione attuale
24 aprile 2015 di Mauro Varotto
Di fronte alla drammatica situazione nel Mediterraneo, nel Consiglio europeo straordinario, che si è svolto il 23 aprile a Bruxelles, i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea hanno deciso di attuare un articolato pacchetto di interventi finalizzati, da un lato, a evitare ulteriori perdite di vite umane in mare; dall’altro, ad affrontare le cause profonde dell’emergenza umanitaria in corso, mediante la lotta contro i trafficanti di esseri umani e la prevenzione dei flussi migratori illegali verso l’Europa.
Si tratta di un ulteriore, importante, passo nella direzione verso la costruzione di una vera “politica comune”, a livello europeo, dell’immigrazione e dell’asilo.
Un percorso che, in Europa, è iniziato ben trent’anni fa, che non è stato – e non è – privo di difficoltà e di contraddizioni, ma che è utile ricostruire, seppure per sommi capi, per poter valutare meglio la portata delle decisioni che sono state prese ieri a Bruxelles.
Dalla creazione di uno spazio senza frontiere interne …
La progressiva creazione in Europa di un mercato “unico”, cioè di “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (…)” – come specificava l’Atto unico europeo del 1986 -, aveva esteso la libera circolazione delle persone, prima limitata ai lavoratori subordinati e autonomi e ai loro familiari, a tutti i cittadini dei Paesi membri delle Comunità europee.
Questa circostanza aveva aperto problematiche nuove nel processo di integrazione europea: attorno a temi quali la sicurezza dei cittadini, l’ordine pubblico, l’accesso ai diritti fondamentali, non si era mai instaurata alcuna forma di cooperazione tra i Paesi comunitari e i trattati stessi delle Comunità europee non prevedevano alcuna competenza e nessuno strumento per gestire tali questioni.
In termini pratici, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, il problema era il seguente: il diritto alla libera circolazione delle persone si applicava esclusivamente ai cittadini dei Paesi comunitari, mantenendo, quindi, i controlli alle frontiere interne tra quegli stessi Paesi, per poter distinguere i cittadini di paesi terzi? Oppure, tale diritto si applicava a tutti coloro che si trovavano legittimamente nel territorio di uno Stato membro, abolendo, quindi, qualsiasi controllo alle frontiere interne?
I Paesi che allora aderivano alle Comunità europee avevano opinioni differenti, anche perché ciascuno di essi aveva sviluppato sistemi diversi di controllo dei flussi migratori e delle frontiere.
Così, dopo avere constatato l’impossibilità di un accordo a livello comunitario, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, il 14 giugno 1985 decisero di creare, fra di essi, un territorio senza frontiere interne, il cosiddetto “spazio Schengen”, dal nome della cittadina lussemburghese in cui tali accordi furono siglati.
Era un accordo internazionale fra alcuni Paesi comunitari, ma al di fuori del sistema dei trattati comunitari: oggi, probabilmente, sarebbe una forma di “cooperazione rafforzata”, prevista e disciplinata dai nuovi trattati.
Abolire i controlli alle frontiere interne e assicurare a tutti, indistintamente, il diritto di circolare liberamente, implicava anche un più stretto coordinamento delle forze di polizia, delle dogane, delle amministrazioni giudiziarie, soprattutto per garantire la sicurezza dei cittadini, creando strumenti comuni di controllo e repressione dei fenomeni di criminalità e terrorismo transfrontalieri.
L’Italia non era nelle condizioni di aderire immediatamente agli accordi di Schengen: infatti, vi aderì solo qualche anno più tardi.
Perché?
Tali accordi postulavano la libertà di circolazione tra i Paesi che li avevano sottoscritti e, pertanto, esigevano il massimo rigore da parte degli Stati nel controllo delle frontiere esterne dell’area.
L’Italia, all’epoca dei primi accordi di Schengen, non offriva sufficienti garanzie: non aveva ancora nessuna politica e nessuna legislazione sull’immigrazione.
… alla creazione di una cittadinanza europea …
Quando, qualche anno più tardi, iniziarono i lavori che portarono al Trattato sull’Unione europea, sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992, alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia, proposero di integrare nei Trattati dell’Unione e di ricondurre, quindi, al quadro istituzionale delle Comunità europee, anche materie sino ad allora escluse, in particolare la politica estera e di sicurezza comune (PESC), già anticipata nell’Atto unico europeo del 1986, e, per l’appunto, la nuova politica nel campo della giustizia e degli affari interni (GAI), sperimentata positivamente attraverso gli accordi di Schengen.
Tuttavia, come è noto, PESC e GAI rimasero per un lungo periodo di tempo – fino al Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° dicembre 2009 – politiche esterne al quadro istituzionale comunitario (i famosi, secondo e terzo pilastro dell’Unione), oggetto di metodi e accordi intergovernativi, tali da non intaccare, in quei settori, le prerogative sovrane degli Stati membri.
Il Trattato di Maastricht, però, ebbe il merito di piantare un pilastro fondamentale dell’edificio delle attuali politiche europee di immigrazione e asilo: istituì la “cittadinanza dell’Unione”, la quale ha conferito a ogni cittadino dell’Unione il diritto fondamentale e personale di circolare e di soggiornare, indipendentemente dallo svolgimento di un’attività economica; il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo ed alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede; nonché il diritto alla tutela diplomatica e consolare nel territorio di un paese terzo.
Il successivo Trattato di Amsterdam ha poi reso più esplicito il legame tra la cittadinanza europea e la cittadinanza nazionale, chiarendo in maniera inequivocabile che “la cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima”, con almeno tre conseguenze di ordine pratico:
- occorre essere già in possesso della nazionalità di uno Stato membro per poter usufruire della cittadinanza dell’Unione;
- pertanto, la questione se una persona abbia la nazionalità di uno o dell’altro Stato membro, è definita solo con riferimento al diritto nazionale dello Stato membro interessato;
- tuttavia, la cittadinanza europea consente di godere di diritti supplementari e complementari alla cittadinanza nazionale.
… fino alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia
Lo stesso Trattato di Amsterdam del 1997 ha introdotto il concetto di “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, una nozione che ha aperto la strada all’integrazione della cooperazione tra Stati membri nel campo della giustizia e degli affari interni, nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.
Questa integrazione, avvenuta solo pochi anni fa a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’1 dicembre 2009, ha comportato che, oggi, gli atti legislativi su queste materie sono adottati secondo la procedura legislativa ordinaria, con il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo; che la Commissione europea ha la possibilità di esercitare un controllo, nei confronti degli Stati membri, sul rispetto delle disposizioni adottate dall’Unione; infine, che, dal 1° dicembre 2014, tali disposizioni sono pienamente assoggettate al controllo della Corte di Giustizia.
L’articolo 3, prf. 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), oggi vigente, recita:
“L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, che garantisce la libera circolazione delle persone, insieme a misure appropriate in materia di controllo delle frontiere esterne, d’asilo, d’immigrazione, oltre alla prevenzione della criminalità e la lotta contro questo fenomeno”.
Il titolo V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), negli articoli da 67 a 89 disciplina questo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, con diversi capi dedicati alle seguenti nuove politiche comuni:
- politiche relative ai controlli delle frontiere, l’asilo e l’immigrazione,
- cooperazione giudiziaria in materia civile,
- cooperazione giudiziaria in materia penale,
- cooperazione di polizia.
Negli ultimi anni sono state istituite diverse agenzie per contribuire alla gestione delle politiche previste dallo “spazio di libertà sicurezza e giustizia”: Europol per la cooperazione di polizia, l’Accademia europea di polizia (CEPOL), Eurojust per la cooperazione giudiziaria in materia penale, l’Agenzia dell’Unione per i diritti fondamentali, che si occupa di diritti fondamentali e lotta contro la discriminazione, l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, Frontex, che è responsabile del coordinamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, e, più recentemente, l’Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi informatici su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA).
In particolare, la creazione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, come si legge all’articolo 67, prf. 2 del TFUE:
“garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi”.
La politica dell’Unione europea nel campo dell’immigrazione si basa su tre pilastri:
- garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne;
- garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne;
- instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne.
E’ da sottolineare che, come nel campo delle politiche fiscali, anche in quello dell’immigrazione l’Unione europea è per la rigorosa applicazione delle regole: non esiste un diritto di immigrazione nell’Unione europea.
L’articolo 79 del TFUE è chiaro in proposito:
“L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani”.
L’immigrazione clandestina e il soggiorno irregolari sono combattuti, anche attraverso l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare, così come l’Unione può adottare misure di lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.
Un trattamento speciale è riservato ai cosiddetti “rifugiati”, a coloro, cioè che scappano da guerre e persecuzioni, per i quali è stato predisposto un regime di tutela particolare che garantisce il diritto di asilo. In base all’articolo 78 del TFUE:
L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti.
In questo ambito, l’ultimo paragrafo dello stesso articolo prevede che:
“Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati”.
Non è, quindi, un caso se oggi, di fronte ai drammatici flussi migratori nel Mediterraneo, l’Italia insiste, soprattutto, sul diritto di asilo e descrive i migranti in arrivo sulle nostre coste come “rifugiati”: è, tuttavia, un escamotage per poter applicare a tutti i migranti, anche a quelli che non scappano né da guerre né da persecuzioni, il regime speciale previsto per i rifugiati.
Tuttavia, non tutti i migranti rientrano in quella fattispecie: molti sono migranti economici; alcuni, a detta di chi ci governa, anche appartenenti ad organizzazioni terroristiche.
Per questo motivo l’Italia deve stare molto attenta e applicare in modo corretto le comuni norme europee sull’immigrazione e l’asilo, evitando di scaricare, come ha fatto spesso in passato, sugli altri Paesi responsabilità che sono solo sue: in base alla Convenzione di Dublino III (ma si tratta di un principio che ha, ormai, 30 anni, fissato, per la prima volta, negli accordi di Schengen del 1985), spetta al Paese europeo di prima accoglienza decidere la “posizione” di ciascun migrante.
Una volta dichiarato “rifugiato” e una volta concesso l’asilo, il migrante ha il diritto di muoversi liberamente in tutta Europa: una palese incapacità nel gestire correttamente i flussi migratori può portare, come è avvenuto in passato, alla chiusura delle frontiere interne, da e verso, l’Italia.
Il Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015
In questo quadro, è da leggersi la “Dichiarazione” congiunta dei capi di Stato e di governo che ieri si sono riuniti in un Consiglio europeo straordinario, e che individua i seguenti impegni per affrontare l’attuale emergenza migratoria nel Mediterraneo:
- potenziare rapidamente le operazioni dell’Unione europea denominate “Triton” e “Poseidon”, almeno triplicando le risorse finanziarie impiegate nel 2015 e 2016 e incrementando il numero dei mezzi, in modo da aumentare le possibilità di ricerca e salvataggio nell’ambito del mandato assegnato alla agenzia FRONTEX;
- smantellare le reti dei trafficanti, assicurare i responsabili alla giustizia e sequestrare i loro beni, grazie alla rapida azione delle autorità degli Stati membri in cooperazione con EUROPOL, FRONTEX, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) ed EUROJUST, nonché grazie a una più intensa attività di intelligence e cooperazione di polizia con i paesi terzi;
- prendere misure sistematiche per individuare, fermare e distruggere le imbarcazioni prima che siano usate dai trafficanti;
- avviare immediatamente i preparativi per una possibile operazione militare nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) dell’Unione;
- ricorrere a EUROPOL per individuare i contenuti diffusi su Internet dai trafficanti allo scopo di attrarre migranti e rifugiati e per chiederne la soppressione, nel rispetto delle costituzioni nazionali;
- incrementare il sostegno, tra gli altri, alla Tunisia, all’Egitto, al Sudan, al Mali e al Niger per il monitoraggio e il controllo delle frontiere e delle rotte terrestri, avvalendoci delle operazioni PSDC in corso nella regione, nonché dei quadri di cooperazione regionale (processi di Rabat e di Khartoum); intensificare il dialogo con l’Unione africana a tutti i livelli su queste problematiche;
- rafforzare la cooperazione politica con i partner africani a tutti i livelli per affrontare la causa della migrazione illegale e contrastare il traffico e la tratta di esseri umani. L’UE affronterà tali questioni con l’Unione africana e i paesi chiave interessati, con i quali proporrà di tenere un vertice a Malta nei prossimi mesi;
- intensificare la cooperazione con la Turchia in considerazione della situazione in Siria e in Iraq;
- inviare ufficiali di collegamento europei per la migrazione nei paesi chiave al fine di acquisire informazioni sui flussi migratori, assicurare un coordinamento con gli ufficiali di collegamento nazionali e cooperare direttamente con le autorità locali;
- lavorare con i partner regionali alla creazione di capacità per la gestione delle frontiere marittime e per le operazioni di ricerca e salvataggio;
- lanciare programmi regionali di protezione e sviluppo per l’Africa settentrionale e il Corno d’Africa;
- mobilitare tutti gli strumenti, anche mediante la cooperazione allo sviluppo e l’attuazione degli accordi di riammissione dell’Unione e nazionali con i paesi terzi, al fine di promuovere la riammissione nei paesi di origine e di transito dei migranti economici non autorizzati, in stretta collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni;
- istituire, nel rispetto del diritto di chiedere asilo, un nuovo programma di rimpatrio per un celere rientro dei migranti illegali dagli Stati membri in prima linea, con il coordinamento di FRONTEX;
- recepimento rapido ed integrale nonché effettiva attuazione del sistema europeo comune di asilo da parte di tutti gli Stati membri partecipanti, garantendo così norme europee comuni nel quadro della legislazione vigente;
- accrescere gli aiuti d’urgenza agli Stati membri in prima linea e considerare opzioni per l’organizzazione di una ricollocazione di emergenza fra tutti gli Stati membri su base volontaria;
- inviare squadre EASO negli Stati membri in prima linea ai fini di un esame congiunto delle domande d’asilo, anche riguardo alla registrazione e al rilevamento delle impronte digitali;
- istituire un primo progetto pilota volontario in materia di reinsediamento in tutta l’UE, offrendo posti alle persone ammissibili alla protezione.
Una tabella di marcia per mettere in atto questi impegni sarà definita entro il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno prossimi, assieme a una comunicazione della Commissione europea che fisserà una nuova agenda europea sulla migrazione, al fine di sviluppare un approccio alla migrazione più sistemico e globale dal punto di vista geografico.
ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:
Riunione straordinaria del Consiglio europeo (23 aprile 2015) – Dichiarazione
Sulla politica dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo, il sito del Parlamento europeo offre una informazione di base.
Un “Manuale sul diritto europeo in materia di asilo, frontiere e immigrazione” è stato pubblicato dalla Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali e dal Consiglio d’Europa nell’aprile 2013.