La politica dell’Unione europea per il rimpatrio dei migranti irregolari e la gestione italiana

23 aprile 2014 di Mauro Varotto

La politica di rimpatrio è lo strumento dell’Unione europea per affrontare la sfida della migrazione irregolare, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone coinvolte, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e tutte le altre Convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Essa è parte dell’approccio globale in materia di migrazione, che l’Unione europea ha potuto iniziare a sviluppare solo dal 2005 e attraverso il quale affronta tutti gli aspetti della migrazione, in modo equilibrato e globale, in partenariato con i paesi terzi da cui i migranti provengono.

L’efficacia di questo approccio è stata verificata una prima volta in occasione della cosiddetta “primavera araba” e degli eventi verificatisi nel 2011 nel Mediterraneo meridionale, mediante una consultazione pubblica molto ampia e numerose riunioni consultive con gli operatori, pubblici e privati, del settore, nonché con un confronto politico tra le Istituzioni dell’Unione e tra questa e i Paesi membri.

La verifica ha portato, alla fine del medesimo anno, alla definizione di un nuovo quadro generale della politica esterna di asilo e migrazione dell’Unione, basata su un approccio globale e sul dialogo politico e la cooperazione operativa con i Paesi terzi.

Insieme a una gestione efficiente delle frontiere, a sanzioni effettive contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare, alla lotta contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, una delle componenti del nuovo approccio alla migrazione e all’asilo dell’Unione è, appunto, la politica di rimpatrio, strettamente intrecciata a quella della riammissione e del reinserimento dei migranti nei loro Paesi di origine.

Come afferma la Commissione europea, in una comunicazione del 28 marzo 2014 in cui analizza l’evoluzione di questa politica, “il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi che non hanno motivi giuridici per soggiornare nell’Unione, né esigenze di protezione è essenziale per la credibilità della politica dell’Unione in materia di migrazione legale e di asilo”.

Fatti e cifre della migrazione irregolare

Dal 2008, il numero di migranti irregolari fermati nell’Unione europea diminuisce ogni anno, con un declino complessivo di quasi il 30% tra il 2008 e il 2012, passando da circa 610.000 a circa 440.000.

Anche se è difficile comprendere la ragione precisa di questa diminuzione, sicuramente vi ha contribuito una serie di fattori, tra cui il progressivo rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, la crisi economica in Europa e il miglioramento della situazione economica in alcuni importanti Paesi di origine.

Per quanto riguarda il rimpatrio delle persone non autorizzate a soggiornare nell’Unione europea, le statistiche Eurostat (che possono, però, offrire un quadro distorto, poiché non esiste oggi alcun obbligo per gli Stati membri di raccogliere dati sui rimpatri volontari), rivelano un divario notevole tra il numero di destinatari di una decisione di rimpatrio (circa 484.000 nel 2012, 491.000 nel 2011 e 540.000 nel 2010) e quello di chi ha, conseguentemente, lasciato l’Unione europea (circa 178.000 nel 2012, 167.000 nel 2011 e 199.000 nel 2010).

Il divario ha molteplici ragioni, tra cui, in particolare, la mancanza di cooperazione del Paese terzo di origine o di transito (a esempio, problemi nell’ottenimento della documentazione necessaria dalle autorità consolari del Paese terzo) o dello stesso interessato (che, a esempio, dissimula la propria identità o si rende irreperibile).

Che cosa fa l’Unione europea per i rimpatri dei migranti irregolari?

Di fronte al fenomeno dell’immigrazione irregolare, innanzitutto, l’Unione europea ha creato un quadro giuridico coerente, a livello europeo, delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionale, grazie alla approvazione, nel 2008, da parte del Parlamento europeo e dei 28 Stati membri riuniti nel Consiglio, della cosiddetta “direttiva rimpatri”, in vigore in gran parte degli Stati membri dal 24 dicembre 2010.

Scopo della direttiva è garantire che il rimpatrio di cittadini di paesi terzi, privi di motivi giuridici per soggiornare nell’Unione, si svolga in modo efficace, secondo procedure eque e trasparenti, che rispettino pienamente i diritti fondamentali e la dignità degli interessati. Anche alcune sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea hanno fatto luce su alcuni aspetti fondamentali della direttiva (a esempio, il tema del trattenimento dei migranti).

Un ruolo complementare nel settore del rimpatrio è svolto anche da altri strumenti giuridici adottati dall’Unione europea, in particolare il regolamento (CE) n. 767/2008 sul sistema di informazione visti (VIS), importante per l’identificazione e la documentazione dei rimpatriati, e il sistema d’informazione Schengen (SIS), utile per conferire piena efficacia ai divieti d’ingresso previsti dalla “direttiva rimpatri” (nel periodo 2008-2013 sono stati registrati nel sistema in media circa 700.000 divieti d’ingresso nello spazio Schengen).

Inoltre, negli ultimi sei anni, l’Unione europea ha fornito agli Stati membri un importante sostegno finanziario per gestire la migrazione irregolare, tramite un apposito “Fondo per i rimpatri”, istituito nel 2008: con questo Fondo, fino al 2013, sono stati destinati dall’Unione agli Stati membri 674 milioni di euro (sul totale di oltre 4 miliardi di euro stanziati dall’Unione per le politiche dell’immigrazione, nel medesimo periodo), per aiutarli a gestire i rimpatri, sia volontari che coatti.

Questi fondi sono spesi, principalmente, attraverso programmi nazionali che promuovono le partenze volontarie: il Fondo Europeo per i rimpatri ha effettivamente assegnato all’Italia circa 44 milioni di euro, gestiti dal Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, Direzione centrale per i servizi civili per l’immigrazione e l’asilo, mediante un programma pluriennale 2008/2013 e programmi annuali, approvati dalla Commissione europea.

Grazie a questo Fondo, negli ultimi sei anni, circa 148.000 migranti nell’Unione sono stati aiutati a rimpatriare volontariamente.

Dal 2014, invece, è operativo il nuovo “Fondo Asilo e migrazione”, che, fino al 2020, avrà una dotazione finanziaria di quasi cinque volte superiore a quella del “Fondo per i rimpatri”: si tratta di 3,1 miliardi di euro, a disposizione degli Stati membri per gestire le politiche nazionali della migrazione.

Infine, l’Unione europea organizza operazioni di rimpatrio congiunte, coordinate dalla Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex), in particolare, i voli congiunti a fini di allontanamento. Da quando è operativa, l’agenzia Frontex, tra il 2006 e il dicembre 2013, ha coordinato 209 operazioni congiunte, che hanno permesso il rimpatrio di 10.855 persone.

Per proteggere le nostre frontiere esterne, l’Unione europea investirà, dal 2014 al 2020, circa 3,5 miliardi di euro, attraverso un nuovo strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere esterne e la politica comune dei visti, il “Fondo per la sicurezza interna”: questo fondo, finanzierà soprattutto programmi nazionali per la gestione delle frontiere.

Sviluppo futuri della politica di rimpatrio dell’Unione europea

Nonostante tutti gli sforzi sin qui profusi a livello europeo, è chiaro che la politica di rimpatrio non può, da sola, gestire efficacemente i flussi migratori irregolari in direzione dell’Unione europea.

Occorre un approccio più globale in materia di migrazione e mobilità, che preveda:

  • un dialogo e una cooperazione rafforzati con i Paesi terzi di origine e di transito sulle questioni migratorie, con l’obiettivo di fondare partenariati sulla base degli interessi comuni;
  • una più intensa cooperazione pratica tra gli Stati membri, con l’agenzia europea Frontex e con le organizzazioni internazionali e le ONG;
  • il parallelo potenziamento di altri strumenti e politiche, quali la gestione efficace delle frontiere, la lotta contro la tratta di esseri umani e il traffico di migranti;
  • l’integrazione degli aspetti di politica estera nella politica migratoria dell’Unione e la creazione di collegamenti tra la dimensione interna e quella esterna.

Sullo sviluppo di questi aspetti è impegnata oggi l’Unione europea.

La confusa gestione dell’immigrazione in Italia

Come Paese europeo di frontiera nel Mediterraneo, l’Italia dovrebbe avere un interesse molto maggiore di altri Stati membri a una corretta ed efficace attuazione delle politiche europee nel campo della migrazione.

La “direttiva rimpatri” fu presentata, il 2 settembre 2005, dal Commissario europeo, nominato dall’Italia, Franco Frattini [doc. COM(2005) 391]. Fu approvata, all’unanimità, dal Consiglio europeo nella 2913ª sessione del Consiglio Trasporti, telecomunicazioni e energia, tenutosi a Bruxelles il 8 e 9 dicembre 2008: dai verbali, risulta che fossero presenti, per l’Italia, ben due ministri: Claudio Scajola, Ministro dello sviluppo economico, e Altero Matteoli, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Nonostante ciò, come è capitato di frequente negli ultimi anni, il Governo italiano in sede europea vota una cosa e in Italia ne racconta e ne fa un’altra, a seconda dell’opportunità politica del momento.

Infatti, allo scadere del termine per l’attuazione a livello nazionale della “direttiva rimpatri”, il 24 dicembre 2010, l’Italia non aveva ancora fatto nulla, a differenza della maggior parte degli altri Stati membri. La giustificazione di questa incomprensibile inerzia del legislatore italiano si basava su una singolare tesi: la normativa italiana non necessitava di alcun tipo di adeguamento alla direttiva europea sui rimpatri, perché era già perfettamente coerente con il diritto dell’Unione europea.

Un raro caso in cui la legislazione italiana precorreva quella dell’Unione?

Purtroppo no. E’ bastata la prima di una lunga serie di pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea – la sentenza del 28 aprile 2011, “Hassen El Dridi” – a dimostrare che la legislazione italiana conteneva palesi violazioni del diritto dell’Unione: infatti, la sentenza ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

Di conseguenza, il Governo è stato costretto a intervenire, come spesso d’urgenza, con il decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, convertito nella legge 2 agosto 2011, n. 129, al fine di scongiurare l’avvio di una ennesima procedura di infrazione da parte della Commissione europea.

Il risultato del tardivo e frettoloso adeguamento italiano alle norme dell’Unione europea è un testo giuridico di ardua comprensione e di difficile interpretazione, ma, soprattutto, del tutto inefficace per una corretta gestione dell’immigrazione nel nostro Paese.

Inoltre, la legislazione italiana sull’immigrazione contiene ancora molte carenze sotto il profilo della corretta applicazione delle norme dell’Unione.

I disastrosi risultati pratici della nostra “singolare” legislazione in materia di gestione dell’immigrazione, sono sotto gli occhi di tutti noi (e di tutta l’Europa), anche in questi giorni.

Ma, come italiani, possiamo stare tranquilli: come sempre, la colpa sarà attribuita all’Unione europea.

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla politica di rimpatrio dell’Unione europea, COM(2014) 199 del 28 marzo 2014

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità, COM(2011) 743 del 18.11.2011

Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GU UE L 348 del 24.12.2008, pag. 98

Ai fini della direttiva rimpatri, l’espressione “Stati membri” si riferisce a 30 Stati europei: i 28 Stati membri dell’UE, tranne il Regno Unito e l’Irlanda, più la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein.

Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 28 aprile 2011, Hassen El Dridi, causa C-61/11 PPU (direttiva rimpatri e inosservanza dell’ordine di allontanamento dello straniero)

Regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in GU UE L 349 del 25.11.2004, p. 1

Sulle attività dell’Agenzia europea FRONTEX, si può consultare il suo sito internet.

Infine, per i cittadini di Paesi terzi, l’Unione europea mette a disposizione un portale web che contiene tutte le informazioni necessarie per viaggiare, vivere e lavorare nei Paesi dell’Unione europea in maniera regolare.

Può essere interessante conoscere i criteri in base ai quali, a livello di Unione europea, sono ripartiti tra gli Stati membri i Fondi per gestire l’immigrazione: i criteri si basano su dati trasmessi dai singoli Stati membri, i quali consentono di ripartire in fondi in base alla gravità dei problemi. I primi criteri adottati, fino al 2013, sono oggetto della una comunicazione della Commissione europea COM(2011) 488 del 20.7.2011.

Infine, informazioni sul programma italiano per il Fondo europeo per i rimpatri, sono reperibili nel sito web del Ministero dell’Interno.

Tuttavia, una valutazione dettagliata dei primi anni di esperienza del Fondo per i rimpatri figurerà nella “Relazione sui risultati compiuti e sugli aspetti qualitativi e quantitativi dell’attuazione del Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008-2010”, che la Commissione pubblicherà nel primo semestre del 2014.

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