BREXIT: una settimana dopo
1 luglio 2016 di Mauro Varotto
Il primo, e finora unico, effetto giuridico dei risultati del referendum britannico del 23 giugno 2016, attraverso il quale, nell’ambito di un processo libero e democratico, il popolo britannico ha espresso il desiderio di lasciare l’Unione europea, è che la “Decisione dei capi di Stato o di governo, riuniti in sede di Consiglio europeo, concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea”, approvata nel Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016 e che ho presentato in un precedente articolo del blog, “non entrerà in vigore, cesserà di esistere e non sarà rinegoziata”.
Al momento non ci sono altre conseguenze giuridiche.
Sul piano delle procedure, spetta infatti al governo britannico decidere “se e quando” prendere l’iniziativa di notificare al Consiglio europeo l’intenzione del Regno Unito di recedere dall’Unione europea: scrivo “se e quando” perché i risultati del referendum non sono giuridicamente vincolanti per il governo britannico ma hanno un mero valore di orientamento politico e potrebbero anche non portare a nulla.
In ogni caso, prima di tale notifica formale, non è possibile l’avvio di nessun negoziato e la posizione del Regno Unito nell’Unione resta invariata.
Invece, dopo tale iniziativa si aprirà un periodo di negoziati, i quali potranno portare alla conclusione di un apposito accordo tra l’Unione europea e il Regno Unito, volto a definire le modalità del recesso, “tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione”, come prevede l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE), articolo che da il diritto a ogni Paese membro di uscire dall’Unione.
Sempre sul piano procedurale, l’accordo negoziato dovrà essere adottato a maggioranza qualificata del 72% dei restanti 27 Stati membri dell’Unione, pari al 65% della popolazione e dovrà essere approvato dal Parlamento europeo, con un voto a maggioranza semplice.
Durante il periodo dei negoziati, che potranno protrarsi al massimo per due anni dalla data della notifica dell’intenzione di recedere, il Regno Unito continuerà a essere parte a pieno titolo dell’Unione europea e ad applicare i relativi Trattati e il relativo diritto.
L’unica limitazione prevista per il Regno Unito durante questa fase consiste nel fatto che i suoi rappresentanti non potranno partecipare né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione europea che lo riguardano.
Che cosa accade se entro i due anni non viene raggiunto nessun accordo di recesso?
Il Regno Unito uscirà automaticamente dall’Unione europea: infatti, i trattati cessano di essere applicabili al Regno Unito a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica.
Tuttavia, bisogna anche aggiungere che l’articolo 50 del TUE prevede che il Consiglio europeo, d’intesa con il Regno Unito, possa decidere di prorogare tale termine biennale: ma è necessaria l’unanimità di tutti i 27 Stati membri.
Infine, resta da dire che il Regno Unito potrà sempre chiedere di aderire nuovamente all’Unione europea: ma tale richiesta sarà oggetto della normale procedura di adesione, la quale prevede la stipula di un apposito accordo di adesione, che dovrà essere sottoposto alla ratifica di tutti i 27 Stati dell’Unione europea, senza il cui accordo unanime, quindi, non vi sarà alcuna riammissione.
Sul piano politico, invece, nella riunione del Consiglio europeo del 28 giugno 2016, il primo ministro del Regno Unito ha informato lo stesso Consiglio sull’esito del referendum tenutosi nel suo paese.
Il giorno dopo, il 29 giugno 2016, i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’Unione europea si sono incontrati informalmente, senza, quindi, la partecipazione del Regno Unito.
Al termine della riunione hanno rilasciato un’importante “Dichiarazione” in cui chiedono al Regno Unito di procedere alla notifica della richiesta di recesso dall’Unione europea “il più rapidamente possibile”.
A seguito di tale notifica formale, prevista non prima dell’insediamento del nuovo governo britannico, il Consiglio europeo si riunirà senza il Regno Unito per concordare all’unanimità le linee guida per la negoziazione dell’accordo di recesso.
Alcune indicazioni politiche sono, tuttavia, già emerse, perché il 27 Paesi membri dell’Unione si augurano, per il futuro “che il Regno Unito sia un partner importante dell’UE”, anche se, avvertono fin d’ora, “Qualsiasi accordo che verrà concluso con il Regno Unito in quanto paese terzo dovrà basarsi su una combinazione equilibrata di diritti e obblighi. Per avere accesso al mercato unico è necessario accettare tutte e quattro le libertà.”
Oltre a ciò, i 27 capi di Stato e di Governo, di fronte alla nuova situazione creata dall’esito del referendum britannico, hanno deciso di “rimanere uniti e a lavorare nel quadro dell’UE per affrontare le sfide del ventunesimo secolo e trovare soluzioni” nell’interesse delle rispettive nazioni e dei rispettivi popoli, riconoscendo che “L’Unione europea è una conquista storica di pace, prosperità e sicurezza sul continente europeo”.
Tuttavia, di fronte all’insoddisfazione che emerge verso l’Unione europea a livello nazionale e alle attese degli europei che si aspettano risultati migliori in termini di sicurezza, occupazione, crescita e speranza per un futuro migliore, i 27 capi di Stato e di Governo “hanno deciso di avviare oggi una riflessione politica per imprimere slancio a ulteriori riforme, in linea con la nostra agenda strategica, e allo sviluppo dell’UE con 27 Stati membri”.
ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:
Consiglio europeo. Riunione informale a 27 a Bruxelles, 29 giugno 2016. Dichiarazione capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri, insieme ai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea.