Prepararsi alla Brexit: i tre possibili scenari e le conseguenze

20 luglio 2018 di Mauro Varotto

E’ noto che il Regno Unito ha sempre avuto una relazione difficile e tormentata con il continente europeo e con le sue Istituzioni comuni, in particolare con l’Unione europea.

Infatti, dapprima non aderì all’invito a diventare uno tra gli Stati fondatori delle Comunità europee, creando, addirittura, un’organizzazione europea antagonista, denominata “Associazione europea di libero scambio” (AELS; in inglese: EFTA, European Free Trade Association; in francese: AELE, Association européenne de libre-échange), alla quale aderirono inizialmente altri sei Paesi europei (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito) e, via via, si aggiunsero la Finlandia, l’Islanda e il Liechtenstein. Questa organizzazione, che favoriva il libero scambio e l’integrazione economica tra gli stati membri e che avrebbe dovuto soppiantare le Comunità europee, si rivelò un fallimento: nel 1972 Danimarca e Regno Unito decisero di lasciarla, presentando domanda di adesione alle Comunità europee; lo stesso fecero il Portogallo nel 1985, l’Austria, la Finlandia e la Svezia nel 1995.

Entrato a far parte dell’Unione europea il 1° gennaio 1973, il Regno Unito iniziò quasi subito a mettere in discussione il proprio contributo finanziario al bilancio comune, ottenendo dagli altri Partner un accordo specifico (la famosa “correzione finanziaria” a favore del Regno Unito) che prevede, ancora oggi, che esso versi contributi inferiori a quanto dovrebbe in base alla sua ricchezza, a scapito di altri Stati membri.

Poi, nel corso del tempo, il Regno Unito si è sempre fermamente opposto a qualsiasi progresso del processo di integrazione europea: ha negoziato una clausola di non partecipazione allo “spazio Schengen” e, persino, una clausola di esenzione dall’euro, in base alla quale, a differenza degli altri Stati membri, non è obbligato a introdurlo; per non parlare della guerra aperta contro l’utilizzo del solo termine “federale” nei Trattati dell’Unione e contro l’adozione di una Carta costituzionale europea.

Questa situazione non poteva durare a lungo.

Infatti, il 23 giugno 2016 il governo del Regno Unito ha deciso di indire un referendum consultivo sulla permanenza nell’Unione europea, in cui la maggioranza dei cittadini britannici ha optato per l’uscita.

Il 29 marzo 2017 il governo britannico ha notificato formalmente al Consiglio europeo l’intenzione di uscire dall’Unione europea, chiedendo l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE): in un precedente articolo del blog, al quale rinvio, ho illustrato le procedure previste dal TUE per il recesso di uno Stato membro.

 

Tre possibili scenari per la BREXIT

Oggi, a oltre due anni dal referendum, tutti gli scenari sono ancora aperti e nessuno sa che cosa potrebbe succedere: per questo è necessario essere pronti alle diverse possibili conseguenze.

Infatti, di fronte a tale incertezza, la Commissione europea ha appena pubblicato una comunicazione significativamente intitolata: “Preparazione per il ritiro del Regno Unito dall’Unione europea il 30 marzo 2019, dove invita tutti gli interessati – Stati membri, Regioni, enti locali, imprese, cittadini – a compiere i preparativi necessari in vista dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla luce dei due possibili scenari.

Scenario 1: ratifica di un accordo entro il 30 marzo 2018

Il primo scenario, quello più auspicabile, consiste nella negoziazione di un accordo di recesso in base all’articolo 50 del TUE: il termine ultimo per ratificare tale accordo scade il 30 marzo 2019. Per l’Unione europea l’accordo sarà concluso dal Consiglio, il quale delibererà a maggioranza qualificata, dopo l’approvazione del Parlamento europeo.

In questa ipotesi, il Regno Unito cesserà di essere uno Stato membro dell’Unione europea a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso: tuttavia, se l’accordo sarà ratificato prima del 30 marzo 2019, il diritto dell’Unione cesserà di applicarsi nei confronti del Regno Unito, e al suo interno, dopo un periodo transitorio di 21 mesi, cioè dal 1º gennaio 2021.

In ogni caso, tuttavia, entro il 30 marzo 2019 lasceranno il Regno Unito le due agenzie dell’Unione con sede a Londra – l’Agenzia europea per i medicinali e l’Autorità bancaria europea -, e gli altri organi che hanno sede nel paese, quali il Centro di monitoraggio  del satellite Galileo, così come una serie di funzioni attualmente svolte da autorità del Regno Unito saranno trasferite in altri Paesi membri.

Scenario 2: mancato accordo entro il 30 marzo 2018

Il secondo scenario consiste nella mancata ratifica di un accordo di recesso entro la scadenza del 30 marzo 2019. Che cosa accadrebbe?

In questo scenario (definito: del “precipizio”, in inglese: “cliff-edge scenario”) il Regno Unito uscirà automaticamente dall’Unione, senza alcun periodo transitorio. A partire dalle ore 00.00 del 30 marzo 2019 (ora dell’Europa centrale) il Regno Unito sarà un Paese terzo e il diritto dell’Unione europea cesserà di applicarsi.

Vediamo alcune immediate conseguenze pratiche.

Non ci sarebbe alcun accordo specifico che disciplini i diritti dei cittadini dell’Unione che si trovano a soggiornare nel Regno Unito o per i cittadini britannici che si trovano nell’Unione.

L’Unione europea inizierà ad applicare regolamenti e tariffe doganali alle frontiere con il Regno Unito, compresi controlli sul rispetto dei dazi doganali e delle norme sanitarie e fitosanitarie, nonché verifiche sulla conformità dei prodotti alle norme europee. Le conseguenze, ad esempio, nel settore dei trasporti sono facili da immaginare: si pensi ai ritardi provocati dai controlli doganali, sanitari e fitosanitari alle frontiere.

Infine, sempre per fare un esempio, imprese ed enti britannici non potranno più partecipare ai programmi europei né ricevere sovvenzioni; le imprese britanniche non potranno partecipare alle procedure di appalto indette all’interno dell’Unione. Come saranno disciplinati gli eventuali appalti in corso con imprese britanniche?

Scenario 3: proroga o rinuncia al recesso

Infine, il terzo scenario, che la Commissione europea non considera nella sua comunicazione, ma che pure è possibile, consiste in una intesa tra il Consiglio europeo e il Regno unito per prorogare il termine biennale, come prevede l’articolo 50 del TUE; tuttavia, è necessaria l’unanimità di tutti gli Stati membri dell’Unione. Rientra in questo scenario anche la possibilità che il Regno Unito decida di rimanere nell’Unione europea.

 

I preparativi in atto a livello europeo per la Brexit

L’Unione europea si sta preparando per affrontare tutti e tre i possibili scenari: uscita ordinata attraverso un accordo; uscita senza nessun accordo; proroga del termine dei due anni o, addirittura, rinuncia al recesso da parte del Regno Unito.

Quest’ultima eventualità emerge dall’ultimo vertice europeo: nella Decisione (UE) 2018/937 del Consiglio europeo, del 28 giugno 2018, che stabilisce la composizione del Parlamento europeo in vista delle elezioni che si terranno alla fine del mese di maggio del 2019, l’articolo 3, al comma 1 stabilisce la composizione del futuro Parlamento senza il Regno Unito; al comma 2, invece, aggiunge che, nel caso in cui il Regno Unito sia ancora uno Stato membro dell’Unione all’inizio della legislatura 2019-2024, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti per ciascuno Stato membro che si insedieranno sarà quello previsto nella precedente decisione del 2013.

Quindi, a livello politico, il fallimento della BREXIT è ben presente.

Sui negoziati in corso, invece, il 19 giugno scorso la Commissione europea e il Regno Unito hanno pubblicato una dichiarazione congiunta che ne illustra i progressi.

Sono stati compiuti importanti passi avanti in alcune questioni che interessano le imprese europee e relativi alle dogane, all’IVA e ai certificati necessari per l’esportazione e/o l’importazione delle merci. Restano in sospeso questioni relative alla protezione dei dati personali e alle indicazioni geografiche protette, sulle quali si prospettano buon possibilità di raggiungere un accordo.

Permangono, invece, serie divergenze tra Unione europea e Regno Unito sul protocollo sull’Irlanda/Irlanda del Nord e questo aspetto sta mettendo a rischio l’intero accordo.

Pertanto, l’Unione europea si sta preparando anche alla eventualità che non sia possibile raggiungere nessun accordo di recesso col Regno Unito e che, quindi, non vi sia alcun periodo transitorio e, quindi, il diritto dell’Unione cesserà di applicarsi al Regno Unito dal 30 marzo 2019.

Quale sarebbe l’impatto sui cittadini e sulle imprese?

 

L’impatto sulle imprese di una Brexit senza accordo di recesso

La Commissione europea ha pubblicato oltre 60 avvisi sui preparativi necessari settore per settore: con questi avvisi intende informare pubblicamente tutti gli interessati circa le conseguenze che risulterebbero da un recesso del Regno Unito in assenza di uno specifico accordo.

Nella comunicazione del 19 luglio 2018, intitolata “Preparazione per il ritiro del Regno Unito dall’Unione europea il 30 marzo 2019”, la Commissione europea è tornata sul tema, spiegando bene le differenze tra una uscita ordinata e preparata per tempo e una uscita improvvisata.

La preparazione è necessaria principalmente per gli operatori economici, imprese commerciali e professionisti, ma anche per i cittadini.

Si pensi, sempre per fare un esempio, al riconoscimento in Europa di una laurea conseguita nel Regno Unito: senza un accordo, tale laurea è destinata a non avere alcun valore legale negli altri Paesi europei.

Un esempio ancora più banale: dopo il 30 marzo 2019 quali permessi serviranno per organizzare una gita scolastica nel Regno Unito?

Oppure si pensi a una impresa italiana che operi nell’Unione europea sulla base di autorizzazioni e/o certificazioni rilasciate da organismi del Regno Unito: senza accordo, dal 30 marzo 2019 quelle autorizzazioni e/o certificazioni non permetteranno più di commercializzare nei Paesi dell’Unione.

Infine, in tutti i progetti europei nel campo della ricerca e dell’innovazione, dell’ambiente, dell’energia e, in generale, di cooperazione territoriale europea, con partner inglesi, chi pagherà i contributi sulle spese sostenute da tali partner dopo il 30 marzo 2019? Le nostre università, i centri di ricerca e le imprese devono sapere che, senza un accordo sul recesso, rischiano di non riuscire a concludere i progetti in corso e di subire la revoca dei contributi concessi.

E’, quindi, della massima importanza che ciascuno di noi valuti quale impatto potrebbe avere sul proprio lavoro o sulla propria impresa una Brexit improvvisata, al fine di prevenire eventuali danni.

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Comunicazione della Commissione europea, Preparing for the withdrawal of the United Kingdom from the European Union on 30 March 2019, doc. COM(2018) 556 del 19.7.2018

Sul processo di recesso del Regno Unito si veda il sito WEB dedicato dell’UE.

 

 

 

 

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