Pagamenti in contanti: i sorprendenti risultati di uno studio della Commissione europea

22 giugno 2018 di Mauro Varotto

I pagamenti in denaro contante sono associati ad alcuni fenomeni criminali, quali la frode fiscale, la corruzione, il riciclaggio dei proventi di attività illecite o, infine, il finanziamento di organizzazioni terroristiche.

Per questi motivi, le legislazioni nazionali, in Europa e nel mondo, hanno imposto restrizioni via via crescenti ai pagamenti in contanti, ventilando addirittura l’ipotesi di una completa eliminazione degli stessi.

In particolare, a livello europeo, nell’ambito del piano di azione contro il finanziamento del terrorismo internazionale, nel 2016 la Commissione europea aveva proposto di estendere l’applicazione del regolamento n. 1889/2005 sui controlli sul denaro in contante in entrata e in uscita dall’Unione europea: come è noto a chi viaggia in Paesi extra-UE, ogni persona fisica che entra ed esce dall’Unione europea e trasporta denaro contante (inteso come banconote e monete emesse da banche centrali) di importo pari o superiore a 10.000 euro deve dichiararlo alle autorità doganali competenti.

Oltre a tale norma in Europa vige solo un secondo strumento di controllo dei movimenti di denaro contante: la direttiva europea antiriciclaggio che impone alle banche e agli operatori finanziari di segnalare tutte le operazioni di pagamenti in contanti pari o superiori a 10.000 euro, anche risultanti da diverse operazioni tra loro collegabili,  oggi giunta alla quinta modifica che il Parlamento europeo ha approvato il 19 aprile scorso [direttiva (UE) 2018/843], inasprendo i controlli.

Poiché da una valutazione della Commissione europea era emerso il rischio che i pagamenti in contanti potessero essere utilizzati per il finanziamento delle attività terroristiche, come avevo anticipato in un precedente articolo, la Commissione stessa aveva proposto di includere nel citato regolamento anche il denaro liquido inviato per posta e per corriere, e di permettere alle autorità pubbliche di intervenire anche per importi minori qualora vi siano sospetti di un’attività illecita. In questo contesto, peraltro, sono state anche fortemente limitate le banconote da 500 euro (l’emissione di tali banconote da parte della BCE cesserà alla fine del 2018), sempre nella convinzione che fossero molto richieste dai criminali coinvolti nel trasporto fisico di denaro contante, poiché sono di valore elevato ed esiguo volume.

Di fronte a queste nuove esigenze, i Ministri finanziari dei 28 Stati dell’Unione avevano invitato la Commissione a presentare una proposta legislativa che imponesse adeguate restrizioni sui pagamenti in contanti di un certo valore, definendo delle soglie omogenee per tutti gli Stati membri.

La Commissione, quindi, ha prima ha analizzato la situazione nei singoli Stati , raccogliendo informazioni sulla legislazione nazionale, le pratiche e le esperienze maturate nelle restrizioni ai pagamenti in contanti. Poi ha commissionato una dettagliata valutazione di impatto, compresa un’analisi dei costi e benefici di una eventuale iniziativa legislativa europea. Infine, ha svolto un’ampia consultazione pubblica tra i mesi di febbraio e maggio 2017.

I risultati di queste analisi preliminari sono stati presentati dalla Commissione europea in un rapporto del 12 giugno 2018 e contengono conclusioni per certi versi sorprendenti, che scardinano alcune convinzioni frutto evidente di luoghi comuni, ma prive di riscontri oggettivi.

 

I pagamenti in contanti sono molto diffusi in tutta Europa

Innanzitutto, i pagamenti in contanti sono di gran lunga il più diffuso mezzo di pagamento in tutta Europa, come evidenziano le seguenti mappe che riportano sia il numero che il valore delle transazioni nei singoli Paesi europei.

 

 

I pagamenti in contanti riguardano piccoli importi

In secondo luogo, i contanti sono utilizzati soprattutto per pagamenti di valore molto basso, come evidenzia il seguente grafico: solo il 30% dei pagamenti superiori a 100 euro avviene in contanti.

 

In 11 Paesi europei non vi sono restrizioni ai pagamenti in contanti

Nei 28 Paesi dell’Unione europea la regolamentazione dei pagamenti in contanti è molto differenziata e le restrizioni riguardano soglie che vanno da un minimo di 500 euro a un massimo di 15.000 euro: a esempio, in Italia, i pagamenti in contanti dei residenti sono leciti se inferiori a 1.000 euro; in Francia fino a 3.000 euro; in Spagna fino a 2.500 euro.

Tuttavia, in ben 11 Paesi europei non vi è nessun limite. Si tratta di economie anche molto importanti, quali Germania e Regno Unito e di altri paesi: Austria, Cipro, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Svezia.

 

 

I cittadini europei sono contrari a restrizioni nei pagamenti in contanti

La consultazione pubblica condotta dalla Commissione europea ha evidenziato, da un lato, che il denaro è ancora oggi il mezzo di pagamento considerato più accessibile e più conveniente dai cittadini di tutti gli Stati membri; dall’altro lato, che il pagamento in contanti è profondamente radicato nell’immagine pubblica dei cittadini europei come espressione della libertà personale: la tracciabilità dei pagamenti, infatti, viene associata a controlli sulla privacy ritenuti intollerabili in regimi democratici.

Il sondaggio, infatti, ha rivelato che una maggioranza sostanziale (94,94%) ha risposto negativamente alla domanda: “Accetteresti l’introduzione di restrizioni sui pagamenti in contanti a livello dell’UE?”

Si tratta di una risposta ampiamente condivisa in tutti i Paesi europei, indipendentemente dal fatto che esistano o meno, nella legislazione nazionale, restrizioni. Peraltro, anche se la consultazione era aperta on-line a tutti i cittadini dell’Unione, la maggior parte di coloro che hanno risposto proveniva da tre Stati membri: Austria, Germania e Francia.

 

Pagamenti in contanti e terrorismo

Lo studio commissionato dalla Commissione europea ha dimostrato che i pagamenti in contanti non hanno un ruolo significativo nel finanziamento del terrorismo.

Infatti, l’analisi dettagliata di una selezione di recenti attacchi terroristici ha evidenziato che le restrizioni sui pagamenti in contanti di un certo valore avrebbero avuto un impatto limitato sulla capacità di preparare tali attacchi.

Se il budget del primo attacco dell’11 settembre alle Torri gemelle è stato stimato tra i 400 mila e i 500 mila dollari, oggi, il costo medio di un attacco terroristico è molto al di sotto di 10.000 euro e riguarda in gran parte spese legittime, quali noleggio di auto e altri mezzi.

In conclusione, i divieti sui pagamenti in contanti di alto valore non ostacolerebbero in modo significativo il finanziamento diretto di attività terroristiche o altre attività criminali.

La maggior parte delle transazioni non sarebbe interessata, perché di importi troppo bassi, o il divieto verrebbe probabilmente ignorato, o, infine, sarebbe rispettato solo per quelle transazioni che sono di per sé così comuni da non suscitare sospetti.

 

Pagamenti in contanti ed evasione fiscale

Anche se spesso evasione fiscale e uso del contante sono associati, lo studio commissionato dalla Commissione europea dimostra che tale relazione non è sempre così chiara e univoca.

In primo luogo, se, da un lato, esiste una correlazione tra l’uso del contante in un’economia e il livello di frode fiscale, sembra tuttavia che anche altri fattori svolgano un ruolo importante, altrimenti non si spiegherebbero casi come l’Austria, dove il livello di frode fiscale è il più basso in Europa e l’uso del denaro contante è tra i più elevati in Europa.

In secondo luogo, la frode fiscale oggi si basa su strutture giuridiche complesse e operazioni spesso di natura multinazionale che non comportano utilizzo di denaro contante.

Infine, nei casi in cui il denaro è effettivamente utilizzato a fini di frode fiscale, si possono distinguere due casi, in entrambi i quali le restrizioni ai pagamenti in contanti oltre una certa soglia non produrrebbero risultati.

Il primo caso riguarda le transazioni in cui entrambe le parti sono coinvolte nella frode fiscale, come il lavoro in nero: il divieto di pagamenti in contanti eserciterebbe una deterrenza limitata.

Il secondo caso riguarda la transazione nella quale solo una parte compie la frode fiscale (ad esempio, il venditore e/o il prestatore di servizi), mentre l’altra parte rimane non coinvolta e ignara della frode. Tuttavia, in questi tipi di transazioni gli importi sono spesso così bassi (ad esempio i conti del bar-ristorante o di alcune tipologie di servizi artigianali), che, in generale, non sarebbero coperti da un divieto europeo di pagamento in contanti che riguarderebbe per importi di un certo valore.

 

Pagamenti in contanti e riciclaggio

Lo studio indica che le operazioni in contanti svolgono un ruolo importante nel riciclaggio di denaro sporco: nonostante la costante crescita dei metodi di pagamento non in contanti e il mutamento della criminalità (con un aumento della criminalità informatica, frodi online e mercati illeciti), le attività criminali continuano a generare profitti sotto forma di grandi quantità di denaro.

Il riciclaggio di denaro sporco richiede transazioni in contanti, spesso condotte attraverso l’acquisizione di beni di valore elevato: in questa ipotesi, restrizioni ai pagamenti in contanti oltre una certa soglia potrebbero avere effetti importanti. Tuttavia, oggi le differenza esistenti tra i 28 Stati membri dell’Unione europea nelle restrizioni dei pagamenti in contanti finiscono per favorire il riciclaggio di denaro perché forniscono opportunità di eludere i controlli nel Paese di origine, investendo in contanti in un altro Stato membro dell’Unione dove non vi sono controlli sulle spese in contanti.

Quindi, restrizioni sui pagamenti in contanti di alto valore, sotto forma di un divieto o di un obbligo di dichiarazione, avrebbero un impatto positivo sulla lotta contro il riciclaggio di denaro e, inoltre, dato che il riciclaggio di denaro è tipicamente un sottoprodotto di altre attività criminali, tale impatto positivo si estenderebbe indirettamente alla lotta contro tali attività, anche se le restrizioni non influenzerebbero le attività stesse.

 

Pagamenti in contanti e delocalizzazioni nel mercato interno

Infine, lo studio commissionato dalla Commissione europea dimostra che le divergenti disposizioni nazionali sui pagamenti in contanti falsano la concorrenza nel mercato interno, portando a potenziali delocalizzazioni delle imprese che operano a livello transnazionale, in particolare per alcuni settori specifici che si basano in modo significativo su operazioni in contanti, come gioielli o concessionari di automobili.

Queste divergenti restrizioni nazionali possono anche creare scappatoie che consentono il superamento dei limiti nazionali di pagamento in contanti e, quindi, una riduzione dell’efficienza delle misure adottate per imporli.

 

Conclusioni: al momento, nessuna iniziativa legislativa in materia

Considerando l’esiguo impatto sulle attività criminali, gli aspetti del mercato interno e la sensibilità dei cittadini europei, la maggior parte dei quali considerano la possibilità di pagare in contanti come una libertà fondamentale, che non dovrebbe essere limitata in modo sproporzionato, la Commissione europea si riserva ulteriori approfondimenti.

In questo momento, la Commissione non sta prenderà in considerazione alcuna iniziativa legislativa in materia.

 

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

REPORT FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT AND THE COUNCIL on restrictions on payments in cash, doc. COM(2018)483 del12 giungo 2018

Studio di impatto della Commissione europea

Risultati della consultazione pubblica condotta dal 27 febbraio al 31 maggio 2017

ECORYS, Study on an EU initiative for a restriction on payments in cash – Final Report, 2018

 

 

 

 

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