Dall’unione monetaria all’unione bancaria: che cosa cambia per risparmiatori e banche?

26 giugno 2015 di Mauro Varotto


banking_union_illustrationLe banche custodiscono i risparmi del mondo e la crisi economica e finanziaria mondiale, iniziata nel 2008, ha sottoposto le banche europee a forti rischi, che ne hanno minacciato la stabilità.

In particolare, in Europa, il legame tra debito pubblico degli Stati e il debito bancario, ha creato un circolo vizioso che ha portato a una situazione tale per cui – scrive la Commissione europea – è stato necessario utilizzare ben 450 miliardi di euro dei cittadini-contribuenti per salvare alcune banche europee.

In proposito, è da evidenziare che, mentre le banche italiane non hanno beneficiato del sostegno finanziario dello Stato (i 4 miliardi di euro di prestiti fruttiferi, concessi nel 2013, sono stati in gran parte già restituiti), quelle di altri paesi europei hanno usufruito di un supporto pubblico importante: secondo i dati di Eurostat, fino al 2013, l’ammontare degli aiuti pubblici alle banche è stato di 250 miliardi di euro in Germania, 60 miliardi in Spagna, circa 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, più di 40 in Grecia.

In queste condizioni, che cosa fare per rendere le 8.200 banche europee più stabili, più competitive e più resilienti alle crisi e, soprattutto, per evitare, in futuro, che siano i bilanci pubblici a coprire le perdite bancarie, scaricando sui cittadini-contribuenti il costo dei fallimenti delle banche?

La risposta che ha dato l’Unione europea è consistita nella creazione di una “unione bancaria”, che si innesta nelle regole comuni sull’attività bancaria già istituite a livello europeo e valide per tutte le banche (il cosiddetto, Single Rulebook): in sintesi, è stata trasferita a livello europeo la vigilanza sulle banche di maggiori dimensioni, è stato creato un sistema europeo di gestione dei fallimenti bancari e si sta completando un sistema comune di garanzia dei depositi.

Dopo l’unione monetaria europea (UEM), quella bancaria è un ulteriore passo di un processo a più lungo termine, che prevede, tra i 19 Paesi che aderiscono all’euro, anche una integrazione economica e finanziaria e, infine, politica, secondo una tabella di marcia già decisa nel 2012 e confermata nel Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015.

 

 

 

Il primo pilastro dell’unione bancaria: un meccanismo unico di vigilanza sulle banche

Nel mese di novembre 2014 è entrato in vigore il sistema europeo di vigilanza sulle banche, dopo un approfondito e complesso esercizio di valutazione dei bilanci delle maggiori banche dell’area dell’euro (il cosiddetto “comprehensive assessment”).

Sono oggi soggette al controllo diretto della Banca centrale europea (BCE) le 120 principali banche dell’area dell’euro (le cosiddette “significant institutions”), che rappresentano l’80% delle attività bancarie complessive dell’area stessa.

Sono 15 le banche italiane interessate: le altre banche italiane (circa 550 banche, che si dividono meno del 20% del mercato bancario nazionale) continueranno ad essere assoggettate alla supervisione della Banca d’Italia, ma sulla base di standard definiti a livello europeo.

 

Il secondo pilastro dell’Unione bancaria: un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie

Per evitare che eventuali future crisi finanziarie ricadano sui cittadini-contribuenti, dal 1° gennaio 2016 entrerà in vigore nella zona euro il cosiddetto “meccanismo di risoluzione unico”, che consentirà la prevenzione dell’insorgere di crisi bancarie e, in caso di scoppio, una successiva gestione più ordinate ed efficace delle stesse.

La gestione delle crisi bancarie è separata dalla vigilanza sulle banche: quest’ultima è in capo alla BCE , la prima è affidata a un “Comitato di risoluzione unico”, una agenzia dell’Unione europea formata da rappresentanti delle istituzioni unionali e degli Stati membri.

Il “meccanismo di risoluzione unico” si basa su un principio molto semplice e rivoluzionario: dal 1° gennaio 2016, le perdite subite dalle banche 120 sottoposte alla vigilanza della BCE (e i costi necessari per la ricapitalizzazione), saranno a carico degli azionisti e, se necessario, dei creditori dell’istituto, compresi i correntisti.

Le norme che disciplinano l’unione bancaria prevedono anche la disponibilità di un’altra fonte di finanziamento, che potrà intervenire nel caso in cui né gli apporti degli azionisti, né il contributo dei creditori si rivelasse sufficiente: il Fondo di risoluzione unico (SRF), finanziato dalle banche stesse, sulla base di un accordo intergovernativo, che entrerà progressivamente in vigore dal prossimo anno.

Questo meccanismo, quindi, sposta gli oneri che derivano dalle crisi di banche sistemiche, dall’utilizzo di fondi pubblici all’utilizzo di risorse messe a disposizione dalle banche stesse, sia direttamente attraverso azionisti e creditori, sia attraverso il fondo unico di risoluzione.

 

Il terzo pilastro dell’Unione bancaria:  il sistema di garanzia dei depositi

Dal 31 dicembre 2010, una direttiva dell’Unione europea ha armonizzato i sistemi nazionali di garanzia dei depositi, aumentando la copertura, in tutti i paesi dell’Unione, a 100.000 euro per depositante e per ente creditizio.

Il termine di rimborso dei depositi in caso di fallimento bancario è di sette giorni, mentre per le spese di sostentamento i depositanti saranno in grado di ottenere cifre sufficienti nel giro di cinque giorni.

Tuttavia, la Commissione europea non ritiene sufficiente l’attuale assetto, basato su sistemi nazionali di garanzia dei depositi, perché resta vulnerabile agli shock locali di grande portata e rischia di incidere sui bilanci pubblici: per questo ha proposto un sistema europeo di garanzia dei depositi (EDIS), come terzo pilastro dell’unione bancaria, che potrebbe fondarsi su un meccanismo di “riassicurazione” a livello europeo per i regimi nazionali di garanzia dei depositi e sarebbe finanziato privatamente, attraverso contributi versati in anticipo da tutte le banche che partecipano al sistema di vigilanza unico.

 

Sono al sicuro i soldi depositati in banca?

Il nuovo quadro legislativo europeo cambia in maniera radicale le regole bancarie, che non consentono più il salvataggio di una banca con fondi pubblici.

Quindi, chi ripianerà le perdite di una banca in dissesto?

Per primi, gli azionisti della banca.

Dopo gli azionisti, vengono i creditori della banca, secondo un certo ordine di priorità, che inizia da chi detiene obbligazioni e, se non fosse ancora sufficiente, può arrivare fino ai risparmiatori che hanno depositato i loro risparmi.

Questi ultimi, tuttavia, sono protetti fino alla soglia di garanzia dei depositi, pari a 100.000 euro per depositante e per banca.  Al di sopra di questa cifra, tutti i risparmiatori dovranno fare la propria parte, contribuendo di tasca propria ad appianare i buchi di bilancio.

Le nuove regole costringeranno anche le banche a cambiare approccio al mercato, perché, nel nuovo contesto operativo, saranno chiamate, innanzitutto, a tutelare gli interessi degli azionisti e, in secondo luogo, dei risparmiatori, gestendo le attività di raccolta del risparmio e di investimento, in modo tale da massimizzare la redditività della banca (e, quindi, il profitto dei soci) e la sicurezza dei depositi.

 

 

ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:

Ulteriori informazioni sono reperibili sul portale dell’Unione europea sull’Unione bancaria.

I principali atti legislativi di riferimento per la creazione dell’unione bancaria sono i seguenti:

 

Per assicurare che anche le banche nazionali non vigilate dalla BCE dispongano di un sostegno finanziario a medio termine per continuare l’attività in caso di dissesto, una direttiva europea impone ai singoli Stati membri di istituire il fondo di risoluzione nazionale, al quale tutte le banche sono tenute a contribuire:

 

 

 

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