Veneto Banca: un caso da manuale sugli effetti dell’unione bancaria europea
20 dicembre 2015 di Mauro Varotto
Ieri ho partecipato alla assemblea straordinaria dei soci di Veneto Banca: come piccolo azionista, ero stato invitato a intervenire nel corso del dibattito, per concorrere a chiarire il senso delle scelte che la banca era chiamata a compiere per assicurarsi un futuro.
Evidentemente suggestionati dalla visione apocalittica, e del tutto distorta, fornita dai media sulla situazione della banca (purtroppo, viviamo un momento storico in cui i giornalisti non riportano le notizie, ma, spesso, le inventano), gli organizzatori temevano una degenerazione del dibattito assembleare, guidato più dalla rabbia degli azionisti che dalla razionalità.
Invece, l’assemblea – a cui hanno partecipato, direttamente o per delega, quasi 12.000 soci sui circa 90.000 – si è svolta in maniera del tutto tranquilla e il dibattito si è svolto in un clima di matura consapevolezza e responsabilità.
Coloro che, a sentire i media, avrebbero dovuto contrastare con fermezza le scelte proposte dai vertici della banca, hanno, al contrario, espresso pieno appoggio, in qualche caso addirittura scusandosi per i “fraintendimenti” creati dai media circa le loro vere intenzioni.
Così, di fronte alla lunghissima lista di iscritti a parlare (oltre 60), ho depositato il mio intervento, senza pronunciarlo in assemblea, in modo da accelerare le votazioni che si sono concluse con un plebiscito (più del 97% dei soci) a favore della trasformazione della banca da cooperativa in società per azioni; dell’aumento di capitale necessario per poter continuare l’attività bancaria; infine, della quotazione in borsa, sia per raccogliere nuovi fondi, sia per sottoporre alla valutazione oggettiva del mercato il vero valore della banca e, quindi, delle azioni in mano ai soci.
Quello di Veneto Banca è un caso da manuale circa gli effetti dell’unione bancaria che si sta costruendo a livello europeo e alla quale ho dedicato alcuni articoli di questo blog nei mesi scorsi: dovrebbe essere studiato nei corsi universitari.
Da che cosa nascono e quale è il senso delle scelte che si è trovata a dover compiere Veneto Banca?
Nei 19 Paesi dell’Unione europea che hanno l’euro come moneta, ci sono circa 8.200 banche: 120 sono le cosiddette “banche significative” che, da sole, svolgono l’80% delle attività bancarie.
Dal novembre 2014, queste banche sono assoggettate alla vigilanza della Banca centrale europea.
Tra queste, in Italia ce ne sono 15, sulle 550 banche complessive del nostro paese.
Perché una vigilanza europea? Non bastava quella delle banche centrali nazionali?
Il principale compito della Banca centrale europea è quello di assicurare la “stabilità finanziaria” della zona euro e, poiché la crisi che stiamo attraversando dal 2007 a oggi, è stata causata dal fallimento di una banca americana, che ha contagiato anche l’Europa e il resto del mondo, i Governi della zona euro hanno deciso di istituire un sistema europeo che assicuri criteri omogenei di svolgimento e di controllo della attività bancaria, con il risultato, non secondario, che la banche più importanti possano tornare ad avere reciproca fiducia poiché, con la crisi, non si prestavano più denaro tra di esse e non lo prestavano all’economia.
Quindi, anche Veneto Banca, dal novembre 2014, è sottoposta ai controlli della Banca centrale europea, i quali, sin dai primi “stress test”, hanno fatto subito emergere una serie di debolezze, tipiche di una banca che, negli ultimi decenni, è cresciuta in maniera esponenziale, aiutando a crescere in maniera altrettanto esponenziale il territorio in cui opera, il Veneto, e non solo questo, poiché col tempo si è allargata in molte altre regioni.
Debolezze che si sintetizzano nel fatto di avere aiutato famiglie e imprese durante i lunghi anni della crisi, esponendosi con prestiti per 25 miliardi di euro, 7 dei quali oggi hanno poche speranze di essere restituiti e stanno affondando la banca; ma anche nel fatto di avere dato una valutazione di se stessa e del proprio valore, fondate non sul giudizio del mercato, ma su accordi interni tra i soci e su stime e perizie costruite ad arte per far tornare i conti, sempre e comunque, senza nessuna trasparenza e nessuna forma di controllo interno.
Quindi, l’ingresso in Europa di Veneto Banca – ma anche della gemella banca Popolare di Vicenza, che sta seguendo un percorso analogo -, è stato un passaggio salutare per l’economia, perché ha permesso di sgonfiare una bolla speculativa: una finta immagine di ricchezza che avrebbe continuato ad auto-alimentarsi, con rischi sempre più grandi per la nostra economia e, date le dimensioni assunte dalla banca, per il sistema finanziario europeo.
Di fronte a questa situazione, il nuovo Consiglio di amministrazione e il nuovo amministratore delegato di Veneto Banca, hanno proposto ai soci due scelte strategiche, di rottura con il passato: l’Europa e il mercato.
Hanno capito che aver conquistato, e riuscire a conservare, un ruolo significativo in Europa è non solo una garanzia di solidità e di stabilità, ma anche un vantaggio competitivo fondamentale per poter crescere e non essere condannati a un ruolo secondario sul mercato.
Dopo la crisi “finanziaria” è tutto cambiato: non c’è futuro per quelle che venivano definite “banche del territorio”, a meno che non siano banche di mera rilevanza locale, con una operatività davvero molto limitata.
Una banca è una impresa a fini di lucro: deve produrre utili per i soci, attraverso la sua attività caratteristica che è quella di raccogliere e prestare denaro.
Inoltre, hanno compreso che l’unico luogo in cui le azioni di Veneto Banca potranno ancora avere un valore, dopo che si è rotto il “giocattolo” a causa dei crediti deteriorati, è il mercato: le azioni scambiate all’interno di un mercato locale “chiuso”, come era quello di alcune banche popolari italiane non quotate in borsa (e in parte è ancora per molte banche italiane, a partire delle banche di credito cooperativo), hanno lo stesso valore delle banconote del gioco del Monopoli.
Su queste nuove basi ora sarà possibile a Veneto Banca e ai suoi soci guardare al futuro con maggiore serenità: tutte le opzioni restano aperte.
Questa vicenda dimostra come l’Europa e l’economia di mercato non sono un nemico da combattere, ma sono una grande opportunità da cogliere, sia a tutela dei correntisti e degli investitori – che senza unione bancaria europea avrebbero continuato a essere ingannati da logiche localistiche, del tutto estranee al mercato – sia per avere imprese bancarie sane e capaci di competere sui mercati europei e globali.
E’ un messaggio per il Veneto, una regione oggi in declino, dalla quale, come ci dicono i dati, i giovani se ne vanno, perché non offre prospettive.
E un messaggio anche per l’Italia, un paese in difficoltà, che non cresce, non investe e non innova.
Occorre avere coraggio e affrontare la realtà.