La conoscenza è la valuta della nuova economia: lo spazio europeo della ricerca
11 ottobre 2014 di Mauro Varotto
“Uno degli ingredienti più importanti della nostra cultura occidentale è ciò che forse potrei chiamare la tradizione razionalistica, che abbiamo ereditato dai greci. E’ la tradizione della discussione critica, della discussione, cioè, condotta non per amore di se stessa, ma nell’interesse della ricerca della verità. La scienza greca, come la filosofia greca, fu uno dei prodotti di questa tradizione e del bisogno di intendere il mondo in cui viviamo; e la tradizione inaugurata da Galileo fu la sua rinascita”.
Karl R. Popper, Tre punti di vista a proposito della conoscenza umana, 1956
A che cosa serve investire nella ricerca scientifica? Serve ad ampliare le nostre conoscenze, ma, nel più limitato contesto economico in cui può operare l’Unione europea, serve soprattutto a garantire la futura competitività delle nostre economie e a generare crescita economica, come scrive in maniera efficace la Commissione europea, in una comunicazione sullo spazio europeo della ricerca:
“La conoscenza è la valuta della nuova economia. È quindi cruciale, per ottenere una ripresa economica sostenibile e rafforzare la posizione dell’Europa nel nuovo ordine mondiale, disporre di una capacità di ricerca e innovazione di livello mondiale fondata su una base scientifica pubblica solida”.
Per questo motivo, l’Unione europea e i suoi 28 Stati membri si sono impegnati a realizzare l’obiettivo di investire il 3% del PIL in ricerca e sviluppo entro il 2020: l’Unione europea farà la sua parte, attraverso i quasi 80 miliardi di euro stanziati, dal 2014 al 2020, attraverso il programma quadro di ricerca e innovazione “Orizzonte 2020”. Anche l’Italia fornirà il suo (modesto) contribuito, cercando di raggiungere, per quella data, almeno un misero 1,53% di PIL investito in ricerca e sviluppo (è vero che l’obiettivo che si è posto il Governo italiano abbassa la media dell’intera Europa, ma ciò sembra confermare il ruolo che, a detta di sempre più numerosi osservatori, ha deciso di assumere il nostro Paese nel “concerto” europeo: rallentare, se non ostacolare, il processo di integrazione europea).
Che cosa è lo spazio europeo della ricerca?
Tuttavia, se, da un lato, gli investimenti privati nella ricerca sono indispensabili per raggiungere il traguardo del 3%, dall’altro lato, le autorità pubbliche sono chiamate ad avviare le riforme strutturali che meglio possono creare le condizioni per incrementare tali investimenti.
Riformare i sistemi di ricerca nazionali risulta necessario non solo per disporre di sistemi più efficienti e per favorire maggiori investimenti nella ricerca, ma anche per realizzare il grande obiettivo di creare uno “Spazio Europeo della Ricerca (SER)” (meglio conosciuto con l’acronimo ERA, dall’inglese: “European Research Area”), la cosiddetta quinta libertà fondamentale del mercato interno europeo: dopo la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, l’Unione europea intende, infatti, favorire la libera circolazione dei ricercatori e delle conoscenze scientifiche.
La creazione del SER è stata decisa, a livello politico, dai capi di Stato e di Governo nel Consiglio europeo del marzo 2000 e “costituzionalizzata” dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° dicembre 2009, il cui articolo 179 affida all’Unione il compito di “rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente (…)”.
Il SER, dunque, è, come scrive la Commissione europea:
“uno spazio di ricerca unificato aperto al mondo e fondato sul mercato interno, nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolano liberamente e grazie al quale l’Unione e gli Stati membri rafforzeranno le loro basi scientifiche e tecnologiche, nonché la loro competitività e la loro capacità di affrontare collegialmente le grandi sfide”.
Il SER e i sistemi di ricerca nazionali e regionali
Il SER si basa sui 28 sistemi di ricerca nazionali degli Stati membri, finanziati con le entrate fiscali nazionali, e non potrebbe essere altrimenti, perché una dichiarazione allegata al Trattato di Lisbona, relativa proprio all’articolo 179 appena citato, dispone che “l’azione dell’Unione nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico terrà debito conto degli orientamenti e delle scelte fondamentali delle politiche in materia di ricerca degli Stati membri”.
Pertanto, i sistemi di ricerca nazionali continueranno a rimanere autonomi e separati e non vi sarà nessuna unificazione od omologazione a livello europeo: l’Europa sa di poter trarre beneficio proprio da questa sua diversità scientifica, culturale e geografica e, anzi, per l’Unione europea è essenziale che gli Stati membri e le regioni sviluppino ulteriormente i propri sistemi di ricerca, basandosi sui propri punti di forza, pur mirando ad una specializzazione intelligente, come ho scritto in un precedente articolo.
Tuttavia, per costruire uno spazio europeo della ricerca che sia competitivo a livello globale, perché l’Europa possa svolgere un ruolo di primo piano nell’affrontare le grandi sfide assieme ai suoi Stati membri (ad esempio, invecchiamento della popolazione, sicurezza energetica, mobilità, degrado ambientale, ecc.) , i sistemi nazionali devono essere più aperti gli uni nei confronti degli altri e rispetto al mondo, più interconnessi e più interoperabili.
Due principi fondamentali alla base del SER: concorrenza e cooperazione
In questo modo, l’Unione europea intende costruire uno spazio europeo della ricerca basato sui due principi della concorrenza e della cooperazione tra i sistemi di ricerca nazionali. La concorrenza garantisce che i finanziamenti siano concessi ai ricercatori e alle équipe di ricerca migliori; la cooperazione consente alle menti più brillanti di lavorare insieme per accelerare i progressi necessari ad affrontare le grandi sfide e a evitare inutili duplicazioni nella ricerca nazionale e negli investimenti nelle infrastrutture di ricerca.
Ulteriore obiettivo del SER è quello di limitare la fuga dei cervelli, in particolare dalle regioni europee più deboli, e ridurre le ampie variazioni regionali dei risultati della ricerca e dell’innovazione, tendendo all’eccellenza in tutta l’Unione, mediante, appunto, le nuove strategie di specializzazione intelligente.
Le cinque priorità del SER
Il SER è al centro della strategia “Europa 2020” e dell’iniziativa faro “L’Unione dell’innovazione”, e il Consiglio europeo ha chiesto che il sia completato entro il 2014: lo stesso programma quadro di ricerca e innovazione “Orizzonte 2020” concorre, in maniera determinante, a realizzare le priorità del SER.
Una comunicazione della Commissione europea del 2012, intitolata: “Un partenariato rafforzato per lo Spazio europeo della ricerca a favore dell’eccellenza e della crescita”, ha definito cinque priorità di azione, basate sull’analisi dei punti di forza e di debolezza dei sistemi di ricerca nazionali e sull’obiettivo generale di indurre cambiamenti duraturi in tema di prestazioni e efficacia della ricerca in Europa, entro la scadenza del 2014:
- rafforzare l’efficacia dei sistemi di ricerca nazionali, incentivando la concorrenza all’interno dei confini nazionali e mantenendo, o addirittura, aumentando gli investimenti nella ricerca;
- ottimizzare la concorrenza e la cooperazione transnazionali, definendo e attuando programmi di ricerca comuni sulle grandi sfide, rafforzando la qualità grazie ad una concorrenza aperta a livello europeo e, infine, costruendo e facendo funzionare efficacemente le principali infrastrutture di ricerca su base paneuropea;
- aprire il mercato del lavoro per i ricercatori, garantendo l’eliminazione degli ostacoli alla mobilità e alla formazione e offrendo prospettive di carriera;
- parità di genere e integrazione della dimensione di genere nella ricerca, per porre fine allo spreco di talenti che non possiamo permetterci e diversificare opinioni e strategie nel campo della ricerca e favorire l’eccellenza;
- ottimizzare la diffusione, l’accessibilità e il trasferimento delle conoscenze scientifiche anche tramite il “SER digitale”, uno spazio on line stabile per le diffusione delle conoscenze e delle tecnologie , per garantire l’accesso e la diffusione delle conoscenze da parte di tutti.
Le riforme e le azioni, da attuare entro il 2014, per ciascuna delle cinque priorità sono precisate nella stessa comunicazione del 2012.
Per l’attuazione del SER entro il 2014, la Commissione europea ha creato un “partenariato rafforzato” tra gli Stati membri, la stessa Commissione e, novità importante, le organizzazioni di operatori della ricerca presenti in Europa.
I progressi compiuti sino ad oggi
La realizzazione delle cinque priorità, delle azioni e delle riforme da attuare a livello nazionale per creare il SER, viene monitorata annualmente dalla Commissione europea. Qualche settimana fa è stata presentata la seconda relazione annuale, che, per ciascuna delle cinque priorità, ha valutato lo stato di avanzamento a livello nazionale.
- Rafforzare l’efficacia dei sistemi di ricerca nazionali
Tutti gli Stati membri hanno virtualmente adottato una strategia nazionale per la ricerca e l’innovazione.
In Italia, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) sta adottando il nuovo Piano Nazionale della Ricerca (PNR) 2014-2020. Lo stesso MIUR, assieme al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), ha appena completato il percorso di confronto con le Regioni per l’adozione di una strategia nazionale di specializzazione intelligente.
In tutti gli Stati membri si erogano finanziamenti alla ricerca sulla base di criteri considerati concorrenziali.
Tuttavia, permangono grandi differenze tra gli Stati membri nell’assegnazione dei finanziamenti per la ricerca.
L’Italia si colloca al 13° posto, tra i 28 Paesi dell’Unione europea, per la spesa pro-capite in ricerca: 145,1 euro pro-capite l’anno, rispetto ai 178,6 euro pro-capite della media UE.
L’Italia si colloca al 24° posto nell’Unione per numero di ricercatori: 6 ricercatori ogni 1.000 abitanti, rispetto alla media europea di 10,6 ricercatori ogni 1.000 abitanti.
- Ottimizzare la cooperazione e la concorrenza transnazionali
La cooperazione transnazionale a livello di programmi tra gli Stati membri si è rafforzata e fa parte delle strategie nazionali di 16 Stati membri, tra i quali l’Italia. Sempre più spesso iniziative di programmazione congiunta contribuiscono ad allineare i programmi e le attività nazionali ad agende comuni a livello di Unione europea, volte ad affrontare le sfide della società.
Per lo sviluppo e la realizzazione delle infrastrutture di ricerca, 22 Stati membri hanno adottato tabelle di marcia nazionali. Cinque di queste sono state aggiornate dal 2013 a oggi.
In Italia, il MIUR ha predisposto il Piano Nazionale per le Infrastrutture di Ricerca, in coerenza con il nuovo PNR 2014-2020: si tratta di un documento programmatico pluriennale in cui si delineano le strategie, le priorità, gli investimenti e le relative risorse finanziarie per il potenziamento, la governance e la specializzazione del sistema nazionale delle infrastrutture di ricerca.
- Aprire il mercato del lavoro per i ricercatori
Mentre nell’Unione europea continua a crescere il numero dei dottorandi, alcuni elementi indicano che essi, però, sono sprovvisti delle necessarie competenze per lavorare all’esterno del mondo accademico.
Su questo versante c’è ancora molto da fare, nel solco dei principi sulla formazione innovativa per il dottorato, elaborati da Stati membri e istituzioni di ricerca nel 2011, grazie ai quali i ricercatori potranno acquisire nuove competenze e migliorare le proprie prospettive occupazionali, soprattutto all’esterno del mondo accademico.
Anche i nuovi programmi operativi, nazionali e regionali, dei Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020, favoriranno l’assunzione nelle imprese di ricercatori.
- Parità di genere e integrazione della dimensione di genere nella ricerca
Le questioni di genere in riferimento a ricerca e innovazione hanno acquisito sempre maggiore rilievo nei programmi politici a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché nell’ambito delle organizzazioni di ricerca. Le iniziative “sul lato dell’offerta” rivolte a singole scienziate vengono integrate sempre più spesso da politiche “sul lato della domanda” che si propongono di introdurre modifiche istituzionali nelle organizzazioni di ricerca, con effetti strutturali di più lungo periodo. Leggi specifiche e/o strategie nazionali per la parità di genere nella ricerca pubblica sono state adottate in oltre la metà degli Stati membri.
L’Italia si colloca al 15° posto nell’Unione per numero di ricercatrici (il 34,9% dei ricercatori sono donne, rispetto alla media europea del 33,2%); al 6° posto per numero di dottorandi di sesso femminile (il 53% dei dottorandi, rispetto alla media europea del 47%).
- Ottimizzare la diffusione, l’accessibilità e il trasferimento delle conoscenze scientifiche anche tramite il SER digitale
In tutta Europa, un crescente numero di università, centri di ricerca e agenzie di finanziamento promuove il libero accesso a dati e pubblicazioni concernenti i risultati della ricerca.
L’Italia è al secondo posto in Europa per la media annuale di pubblicazioni scientifiche per ricercatore: 4,5 pubblicazioni, rispetto alla media europea di 2,89. Il dato conferma l’impegno e la vivacità scientifica dei ricercatori italiani, pur in assenza di finanziamenti e di strutture di ricerca adeguate, come ho potuto evidenziare in un precedente articolo.
Tuttavia, l’Italia è solo al 7° posto per numero di brevetti registrati annualmente.
Gli Stati membri continuano a sviluppare e a rendere operative strategie nazionali di trasferimento delle conoscenze. Tale obiettivo è ricercato principalmente attraverso azioni volte a migliorare il riconoscimento e la professionalizzazione delle attività di trasferimento delle conoscenze e a rafforzare il ruolo degli uffici di trasferimento delle conoscenze, nonché attraverso misure per agevolare l’interazione e lo sviluppo di partenariati strategici e di programmi di ricerca congiunti tra il mondo accademico e l’industria.
Tuttavia, risulta ancora inadeguato in tutta l’Unione lo sviluppo delle infrastrutture che devono garantire l’accesso e la diffusione universali delle conoscenze, tramite l’accesso aperto ai risultati delle ricerche finanziate con risorse pubbliche.
Conclusioni
L’attuazione del SER nei diversi Stati membri non è omogenea.
La relazione annuale della Commissione del 2014 si conclude con una “mappa” che illustra il livello di attuazione delle cinque priorità dello spazio europeo della ricerca nei 28 Stati membri dell’Unione.
I risultati suggeriscono che non solo non vi è omogeneità nel raggiungimento delle cinque priorità comuni ma che non esiste un unico percorso nazionale verso il SER.
Vi sono due gruppi di Paesi che si collocano la media dell’Unione europea nel percorso di realizzazione del SER: un gruppo (top-down, nella cartina), tra cui l’Italia, in cui l’attuazione dello spazio europeo della ricerca è guidato e attuato dall’alto, dalle politiche nazionali e regionali e da finanziamenti pubblici; un secondo gruppo (bottom-up), in cui sono le stesse istituzioni di ricerca e i finanziatori a favorire, dal basso, l’implementazione del SER.
Infine, vi sono due gruppi di Paesi “limitatamente conformi al SER”, i quali non hanno attuato le azioni del SER o lo hanno fatto in maniera parziale e nei quali sono necessarie ulteriori riforme dei sistemi di ricerca nazionali.

ERA Progress Report 2014. Facts and Figures 2014. Classificazione degli Stati membri in base al supporto e alla implementazione dello spazio europeo della ricerca nelle politiche della ricerca nazionali
Alla fine del 2014, quindi, risultano necessari ulteriori sforzi di attuazione del SER: per questo, entro la metà del 2015, la nuova Commissione europea, che si insedierà a novembre, elaborerà una tabella di marcia del SER a livello europeo, contenente gli orientamenti e le misure essenziali per affrontare le strozzature rimanenti.
Essa sarà fondamentale per indirizzare e completare l’attuazione del SER a livello nazionale, pur riconoscendo la diversità dei sistemi di ricerca nazionali.
ACCESSO DIRETTO ALLE FONTI DI INFORMAZIONE:
La comunicazione rilevava la necessità di introdurre urgenti cambiamenti a livello strutturale in tutta l’Europa, attraverso una collaborazione tra Stati membri, organizzazioni di operatori della ricerca e Commissione europea, onde attivare misure concrete per accrescere il livello di eccellenza del sistema di ricerca pubblica europeo.
I progressi compiuti in tal senso a livello unionale e nazionale sono monitorati annualmente, dal 2013. L’ultima relazione è la comunicazione della Commissione europea: “Spazio europeo della ricerca: relazione 2014 sui progressi compiuti (ERA Progress Report 2014)” [COM(2014) 575 del 15.9.2014] e il documento di lavoro dei servizi della Commissione su fatti e cifre fornito in allegato (Facts and Figures) che offre un’analisi più dettagliata.
I documenti sono reperibili in una apposita sezione del server “Europa”.